Il generale Motta Gur e le sue truppe scrutano la Città Vecchia di Gerusalemme prima di sferrare l'attacco 1967 (Ufficio stampa del Governo israeliano) |
Copione ripetuto alla nausea e oltre, guerre, finte rivoluzioni, milioni di morti, studiate meticolosamente in precedenza a tavolino, fatte passare per nesso casuale o peggio ancora attribuendone la colpa alla vittima sacrificale di turno. Mi vengono in mente solo per citarne alcune tra le infinite : War Games La famosa guerra dello Yom Kippur nell’ottobre 1973 fu un’impresa concordata tra i leader di USA, Egitto e Israele, orchestrata da Henry Kissinger, la "Guerra dei Sei Giorni" del 1967 tra Israele e gli eserciti arabi, che è l'oggetto del seguente articolo, le due guerre mondiali e l'esportazione della “cosiddetta democrazia” a suon di cannoni e bombardamenti che altro non è invece dell'imposizione dell'usura, del capitalismo, del colonialismo e dell'imperialismo, per citarne casi ben noti, non è l'Italia una colonia genuflessa all'imperialismo usurocratico USraeliano ? E l'Europa NO ?? La Grecia non è una vittima sacrificale ???
Beh in Palestina bambini e civili spesso festeggiano nelle scuole dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (United Nations High Commissioner for Refugees, UNHCR) con il fosforo bianco vietato dalle convenzioni internazionali, ma chi se fotte ?
Loro hanno i soldi che a noi hanno rapinato e comandano, se non stai attento a sottometterti abbastanza, sempre ti può arrivare una delle incalcolabili bombette nucleari detenute illegalmente a spregio di trattati e convenzioni, non sono di molto tempo fa le minacce pubbliche di un rabbino all'Europa ...
Non è per niente difficile sapere chi manovra i fili :
E' poi scritto ufficialmente da tutte le parti, basta cercare e leggere, certo che il cameriere del TG, mentre sta cercando di venderti la miglior menzogna di sistema, non ti dice :
Non è per niente difficile sapere chi manovra i fili :
«La nostra politica deve essere quella di fomentare le guerre, per sprofondare sempre di più le nazioni nel loro debito, e di dirigere le Conferenze di Pace».La “DOTTRINA DEL TERRORE”, i 25 punti di Amschel Mayer Rothschild. 1773
E' poi scritto ufficialmente da tutte le parti, basta cercare e leggere, certo che il cameriere del TG, mentre sta cercando di venderti la miglior menzogna di sistema, non ti dice :
"da documenti desecretati risulta che il mio 'capo' ha causato, fomentato e finanziato TUTTE le guerre e le 'finte' rivoluzioni negli ultimi 3 secoli e pare evidente che anche quest'ultima ....",
Dall'asilo esci cantando "Bella Ciao", è capitato a me, il giorno dopo
ero dalle suore tedesche☺, fortunatamente.
All'università di Economia e Commercio ti insegnano che per guadagnare devi fottere gli altri, le università di medicina sono finanziate e quindi controllate da Big Pharma che evidentemente ha bisogno di miliardi di malati e non di sani,
"Il Signore tuo Dio ti benedirà come ti ha promesso e tu farai prestiti a molte nazioni e non prenderai nulla in prestito; dominerai molte nazioni mentre esse non ti domineranno".Deuteronomio 15 - 6 Antico Testamento
Questo è lo stesso sistema economico con cui sempre la stessa cupola mafiosa gestisce la truffa dell'emissione monetaria, il signoraggio bancario, potrei andare avanti all'infinito, e allora ... ??
“La più grande prigione sulla Terra: una storia dei
Territori occupati”
L'autore :
Ilan Pappe (in ebraico אילן פפה, Ilan Pappe) (Haifa, 7 novembre 1954) è uno storico e accademico israeliano. Intellettuale e studioso socialista, ebreo e anti-sionista, di formazione comunista, è uno dei rappresentanti della cosiddetta Nuova storiografia israeliana.
Attualmente è professore e detiene la cattedra del Dipartimento di Storia dell'Università di Exeter, dove vive (Regno Unito), è co-direttore del suo Centro per gli Studi Etno-Politici. Ha fondato e guidato l'Istituto per la Pace a Givat Haviva (Israele) fra il 1992 e il 2000, e ha ricoperto la cattedra dell'Istituto Emil Touma per gli Studi Palestinesi di Haifa (2000-2008). È anche l'autore del best-seller "A History of Modern Palestine" (...).
21 ottobre 2017
L’ultimo libro del professore Ilan Pappé, “The Biggest Prison on Earth: A History of the Occupied Territories” è una revisione della politica israeliana sulla Striscia di Gaza e sulla Cisgiordania. Lo storico fa luce sul meccanismo che è stato creato per governare milioni di palestinesi, che vivono effettivamente in una prigione a cielo aperto da 50 anni.
Di fatto, Pappé torna indietro fino al 1948 e porta il lettore in un viaggio attraverso le strategie politiche israeliane sino dalla sua creazione d’Israele nella terra palestinese e sottolinea alcuni momenti cruciali e personaggi principali del conflitto. Nello stesso tempo mostra che l’occupazione totale della Palestina e lo sradicamento della sua popolazione è lo scopo finale dei creatori dello stato sionista.Il libro lascia intendere la sua posizione sull’attuale situazione dei Territori palestinesi, quando Pappé contesta la definizione di occupazione. La sua prima riserva è sul fatto che il termine crea “una falsa separazione tra Israele e le aree occupate”, in modo tale da legittimare la presenza israeliana come stato democratico al di fuori dei Territori palestinesi. Fa quindi un’obiezione al fatto che “occupazione” implica uno stato temporaneo, quando tale situazione è invece la norma per i palestinesi da decenni.
Sottolinea anche che il livello di controllo militare esercitato sui palestinesi in Cisgiordania e Gaza, è stato visto diversamente solo prima degli episodi di genocidio, dove tali misure sono state utilizzate per imprigionare completamente le popolazioni. L'autore ipotizza che l'uso di un termine così scarno come "occupazione" abbia permesso a Israele di eludere una grave condanna e chiede che venga usato un vocabolario più ampio per descrivere le violazioni del governo.
Pappé passa in rassegna le varie misure di controllo a cui sono stati soggetti i territori palestinesi, a cominciare da un contesto di atteggiamenti sionisti nei confronti della Terra Santa, che è servito da preludio alla guerra del 1967. Procede descrivendo il modo in cui sono state attuate le decisioni del 1967, descrivendo in dettaglio l'infrastruttura legale utilizzata per sostenere la gestione burocratica dei territori e il posizionamento strategico dei coloni ebrei nelle aree della Cisgiordania e di Gaza.
Nonostante la presenza della comunità internazionale nel libro, non appare così regolarmente come si potrebbe pensare. Oltre a citare esempi chiave delle relazioni USA-Israele, la prima metà del libro è degna di nota per aver menzionato raramente l'indignazione da parte di governi o organismi stranieri. Più tardi, dopo la guerra del 1967, Pappé sottolinea la risposta delle Nazioni Unite e come gli accordi di pace proposti abbiano influenzato i piani israeliani. Tuttavia, sottolinea come è stato solo durante la Seconda Intifada (2000-2005) che la percezione pubblica del popolo palestinese è cambiata, poiché la vera situazione della vita sotto occupazione è stata trasmessa agli occhi di tutti.
La menzione altrimenti minima che viene fatta ai governi stranieri non è solo una rappresentazione veritiera del caso in quel momento, ma anche simbolica di quanto poca assistenza sia stata data alla causa palestinese. Tralasciando la maggior parte della retorica insignificante che è stata senza dubbio pretesa dai leader mondiali nel corso della storia di Israele, Pappé sottolinea sottilmente come i palestinesi siano stati lasciati soli nella loro lotta, la loro chiamata in gran parte inascoltata e la loro sofferenza ignorata.
I vari leader militari e le campagne discusse nel libro presentano al lettore l'immagine della Palestina come un tabellone di gioco circondato da politici israeliani. La sfida: liberarsi della popolazione palestinese attraverso l'assimilazione totale, la deportazione forzata o lo sterminio. Attualmente il modello impiegato in Cisgiordania, sostiene Pappé, è quello di rendere la vita il più difficile possibile ai civili, in modo tale che alla fine si ritirino. Presenta la Striscia di Gaza come il "modello definitivo di prigione di massima sicurezza"; la fase finale dell'occupazione israeliana. Il totale isolamento della popolazione, con Israele che possiede quasi l'immunità dalla comunità internazionale a causa della designazione di Hamas come gruppo terroristico, che gli consente di continuare la sua aggressione contro la Striscia, soffocando lentamente la popolazione civile.
Il libro termina con forza con le mappe della Palestina che si sono ridotte nel corso degli anni, fino a quando una mappa del paese del 2006 non evidenzia in modo cupo quanto poco del paese originale, appena il 12%, rimanga come territorio per un futuro stato palestinese. Vengono anche evidenziate le numerose incursioni nelle attività di insediamento, mettendo a tacere i potenziali critici mostrando le numerose violazioni israeliane del diritto internazionale.
L'ultimo libro del professor Pappé è una lettura obbligata per tutti coloro che desiderano cogliere la storia dei territori occupati e combattere la narrativa secondo cui Israele ha mai progettato per consentire l'esistenza di uno stato palestinese indipendente. Offre al lettore una panoramica del panorama politico israeliano e uno sguardo freddo e duro a ciò che è realmente dietro l'occupazione: un desiderio implacabile e razzista di potere e terra, a scapito della vita di milioni di persone.
Pappé passa in rassegna le varie misure di controllo a cui sono stati soggetti i territori palestinesi, a cominciare da un contesto di atteggiamenti sionisti nei confronti della Terra Santa, che è servito da preludio alla guerra del 1967. Procede descrivendo il modo in cui sono state attuate le decisioni del 1967, descrivendo in dettaglio l'infrastruttura legale utilizzata per sostenere la gestione burocratica dei territori e il posizionamento strategico dei coloni ebrei nelle aree della Cisgiordania e di Gaza.
Nonostante la presenza della comunità internazionale nel libro, non appare così regolarmente come si potrebbe pensare. Oltre a citare esempi chiave delle relazioni USA-Israele, la prima metà del libro è degna di nota per aver menzionato raramente l'indignazione da parte di governi o organismi stranieri. Più tardi, dopo la guerra del 1967, Pappé sottolinea la risposta delle Nazioni Unite e come gli accordi di pace proposti abbiano influenzato i piani israeliani. Tuttavia, sottolinea come è stato solo durante la Seconda Intifada (2000-2005) che la percezione pubblica del popolo palestinese è cambiata, poiché la vera situazione della vita sotto occupazione è stata trasmessa agli occhi di tutti.
La menzione altrimenti minima che viene fatta ai governi stranieri non è solo una rappresentazione veritiera del caso in quel momento, ma anche simbolica di quanto poca assistenza sia stata data alla causa palestinese. Tralasciando la maggior parte della retorica insignificante che è stata senza dubbio pretesa dai leader mondiali nel corso della storia di Israele, Pappé sottolinea sottilmente come i palestinesi siano stati lasciati soli nella loro lotta, la loro chiamata in gran parte inascoltata e la loro sofferenza ignorata.
I vari leader militari e le campagne discusse nel libro presentano al lettore l'immagine della Palestina come un tabellone di gioco circondato da politici israeliani. La sfida: liberarsi della popolazione palestinese attraverso l'assimilazione totale, la deportazione forzata o lo sterminio. Attualmente il modello impiegato in Cisgiordania, sostiene Pappé, è quello di rendere la vita il più difficile possibile ai civili, in modo tale che alla fine si ritirino. Presenta la Striscia di Gaza come il "modello definitivo di prigione di massima sicurezza"; la fase finale dell'occupazione israeliana. Il totale isolamento della popolazione, con Israele che possiede quasi l'immunità dalla comunità internazionale a causa della designazione di Hamas come gruppo terroristico, che gli consente di continuare la sua aggressione contro la Striscia, soffocando lentamente la popolazione civile.
Il libro termina con forza con le mappe della Palestina che si sono ridotte nel corso degli anni, fino a quando una mappa del paese del 2006 non evidenzia in modo cupo quanto poco del paese originale, appena il 12%, rimanga come territorio per un futuro stato palestinese. Vengono anche evidenziate le numerose incursioni nelle attività di insediamento, mettendo a tacere i potenziali critici mostrando le numerose violazioni israeliane del diritto internazionale.
L'ultimo libro del professor Pappé è una lettura obbligata per tutti coloro che desiderano cogliere la storia dei territori occupati e combattere la narrativa secondo cui Israele ha mai progettato per consentire l'esistenza di uno stato palestinese indipendente. Offre al lettore una panoramica del panorama politico israeliano e uno sguardo freddo e duro a ciò che è realmente dietro l'occupazione: un desiderio implacabile e razzista di potere e terra, a scapito della vita di milioni di persone.
Ilan Pappé |
LA PIÙ GRANDE PRIGIONE DELLA TERRA – di Ilan Pappé
26 novembre 2017
Israele si è rivenduto la notizia della guerra come se fosse stata casuale, ma nuovi documenti storici e verbali trovati negli archivi dimostrano che Israele era ben preparata a questa.
Nel 1963, dei personaggi delle amministrazioni israeliane militari, legali e civili si sono iscritti a un corso all’Università Ebraica di Gerusalemme, per programmare un piano completo per occuparsi dei territori che Israele avrebbe occupato 4 anni dopo e per gestire un milione e mezzo di palestinesi che ci vivevano.
La motivazione era stata il fallimento del modo in cui Israele si occupava dei palestinesi a Gaza nella sua occupazione di breve durata nel periodo della crisi di Suez del 1956.
Nel maggio 1967, mesi prima della guerra, i governatori militari israeliani hanno ricevuto delle scatole contenenti istruzioni legali e militari sul modo di controllare le città e i villaggi palestinesi. Israele avrebbe continuato a trasformare la Cisgiordania e la Striscia di Gaza in mega prigioni sotto il controllo e la sorveglianza dei militari.
Gli insediamenti, i posti di controllo e le punizioni collettive facevano parte di questo piano, come dimostra lo storico israeliano Ilan Pappé nel libro: "The Biggest Prison on Earth: A History of the Occupied Territories", "La più grande prigione della terra: la storia dei territori occupati" che è un resoconto approfondito dell’occupazione israeliana.
Pubblicato nel 50° anniversario della guerra del 1967, il libro è stato selezionato per il premio letterario denominato Palestine Book Award 2017, organizzato da Middle East Monitor, che sarà proclamato a Londra il 24 novembre. Pappe ha parlato con Middle East Eye del libro e di che cosa rivela.
Ilan Pappe on 'The Biggest Prison on Earth'
Middle East Eye: In che modo questo libro sviluppa il suo precedente: La pulizia etnica della Palestina per la guerra del 1948?
Ilan Pappé: E’ certamente un seguito del mio precedente libro "The Ethnic Cleansing", "La pulizia etnica" (al termine la recensione NdR) che descrive gli avvenimenti del 1948. Considero l’intero progetto del Sionismo come una struttura, non soltanto come un solo evento. Una struttura di colonialismo dei colonizzatori con la quale un movimento di coloni colonizza una patria. Fino a quando la colonizzazione non è completa e la popolazione indigena si oppone per mezzo di un movimento nazionale di liberazione, ognuno di tali periodi che considero, è soltanto una fase all’interno della stessa struttura.
Anche se "The Biggest Prison" è un libro di storia, siamo ancora nell’ambito dello stesso capitolo storico. Non è ancora finito. E quindi, con questa idea in mente, ci sarebbe probabilmente un terzo libro, in seguito, che considera gli avvenimenti del 21° secolo e come la stessa ideologia di pulizia etnica e di espropriazione si sta attuando nella nuova era e come i Palestinesi vi oppongono resistenza.
MEE: Lei parla della pulizia etnica che è avvenuta nel giugno del 1967. Che cosa è accaduto allora ai palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza? In che modo è diversa dalla pulizia etnica della guerra del 1948?
IP: Nel 1948 c’era un chiaro piano per tentare di espellere il maggior numero di palestinesi possibile. Il progetto colonialista dei coloni credeva di avere il potere di creare uno spazio ebraico in Palestina che sarebbe stato totalmente senza palestinesi. Non ha funzionato molto bene, ma ha avuto un buon successo, come tutti sapete. L’80% dei palestinesi che vivevano all’interno di quello che divenne lo stato di Israele, diventarono rifugiati.
Come dimostro nel libro, ci sono alcuni decisori politici israeliani che hanno pensato che forse possiamo fare nel 1967 quello che abbiamo fatto nel 1948. La vasta maggioranza di questi, però, capiva che la guerra del 1967 era stata molto breve, durata 6 giorni, e allora c’era già la televisione e un buon numero delle persone che volevano espellere erano giù rifugiati dal 1948.
Penso, quindi, che la strategia non era la pulizia etnica nello stesso modo in cui era stata attuata nel 1948. Era quello che chiamerei pulizia etnica che si va incrementando lentamente. In alcuni casi hanno espulso torme di persone da certe zone come Gerico, la Città Vecchia di Gerusalemme, e attorno a Qalqilya. Nella maggior parte dei casi, però, hanno deciso che il governo militare e un assedio per racchiudere i Palestinesi nelle loro proprie aree, sarebbe stato vantaggioso quanto espellerli.
Dal 1967 fino a oggi, c’è una pulizia etnica molto lenta che probabilmente si estende per un periodo di 50 anni, ed è così lenta che talvolta può colpire una persona in un giorno. Se, però, si guarda al quadro completo dal 1967 fino a oggi, parliamo di centinaia di migliaia di palestinesi ai quali non è permesso di tornare in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
MME: Lei distingue tra due modelli militari che usa Israele: il modello di prigione aperta in Cisgiordania e il modello di prigione di massima sicurezza nella Striscia di Gaza. Come definisce questi termini militari?
IP: Gli israeliani controllano i territori occupati direttamente o indirettamente e cercano di non penetrare nelle città e nei villaggi palestinesi densamente popolati. Hanno suddiviso la Striscia di Gaza nel 2005 e stanno ancora suddividendo la Cisgiordania che non è più una zona territoriale coerente.
A Gaza gli israeliani sono i custodi che escludono i palestinesi dal mondo esterno, ma non interferiscono con quello che fanno all’interno.
La Cisgiordania è come una prigione all’aria aperta dove si mandano piccoli criminali cui si concede più tempo andare fuori e lavorare fuori. All’interno non c’è un regime severo, ma è comunque una prigione. Anche il presidente palestinese Mahmoud Abbas, se si sposta dalla zona B alla zona C, ha bisogno che gli israeliani gli aprano la porta. Per me questo è molto simbolico, cioè il fatto che il presidente non si può muovere senza che il carceriere israeliano gli apra la gabbia.
Naturalmente c’è una costante reazione palestinese a questo. I palestinesi non sono passivi e non accettano questa situazione. Abbiamo visto la Prima Intifada e la Seconda Intifada e forse vedremo la Terza Intifada. Gli Israeliani dicono ai palestinesi, con una mentalità da gestione di carcere: se vi opponete, vi porteremo via tutti i vostri privilegi, come facciamo in prigione. Non potrete lavorare fuori. Non sarete in gradi di muovervi liberamente, e avrete punizioni collettive. Questo è il genere di parte punitiva: punizione collettiva come ritorsione.
MME: La comunità internazionale condanna timidamente la costruzione o l’espansione degli insediamenti israeliani nei territori occupati. Non le considerano parte importante della struttura coloniale di Israele, come lei descrive nel libro. Come sono cominciati gli insediamenti israeliani e la loro base era razionale o religiosa?
IP: Dopo il 1967, ci sono state due mappe di insediamenti o colonizzazione. C’era una mappa strategica ideata dalla Sinistra a Israele. E il padre di questa mappa è stato il defunto Yigal Allon, il massimo stratega che lavorò con Moshe Dyan nel 1967 per formulare un piano di controllo della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Il loro principio era strategico e non molto ideologico, anche se credevano che la Cisgiordania appartenesse a Israele.
Gli interessava di più assicurarsi che gli Ebrei non si insediassero in zone arabe densamente popolate. Dicevano che, dovunque i Palestinesi non vivono concentrati, noi possiamo stabilirci. Hanno quindi iniziato con la Valle del Giordano perché lì ci sono piccoli villaggi ma non densamente popolati come in altre zone.
Il problema per loro è stato che nello stesso momento in cui tracciavano la loro mappa strategica, emergeva un nuovo movimento religioso messianico, Gush Emunim, un movimento religioso nazionale di Ebrei, che non volevano insediarsi in base alla mappa strategica. Volevano insediarsi seguendo la mappa biblica. Avevano l’idea che la Bibbia è un libro che dice esattamente dove sono le antiche città ebraiche. E si dà il caso che la mappa indicava che gli Ebrei dovevano insediarsi tra Nablus, Hebron e Betlemme, in mezzo alle zone palestinesi.
Dapprima il governo israeliano tentò di controllare questo movimento biblico in modo che si sarebbero insediati più strategicamente, ma vari giornalisti hanno dimostrato che Shimon Peres, ministro della Difesa all’inizio degli anni ’70, decise di permettere gli insediamenti biblici. I Palestinesi in Cisgiordania avevano davanti due mappe della colonizzazione, quella strategica e quella biblica.
La comunità internazionale capisce che, secondo la legge internazionale, non importa se è un insediamento è strategico o biblico: sono illegali.
Quello, però, che è una sfortuna, è che la comunità internazionale dal 1967 ha accettato la formula israeliana che dice che
“gli insediamenti sono illegali, ma è una cosa temporanea; quando ci sarà la pace ci assicureremo che tutto sia legale. Però, fino a quando non c’è la pace, abbiamo bisogno degli insediamenti perché siamo ancora in guerra con i Palestinesi.”
MME: Lei dice che “occupazione” non è la parola precisa per descrivere la realtà in Israele, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. E in "On Palestine", un dialogo con Noam Chomsky, lei critica l’espressione: “processo di pace”. E’ discutibile. Perché questi termini non sono precisi?
IP: Penso che il linguaggio sia molto importante. Il modo in cui si inquadra una situazione può influenzare le possibilità di cambiarla.
Abbiamo espresso la situazione Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e in Israele con il vocabolario e le parole sbagliate. Occupazione indica sempre una situazione temporanea.
La soluzione dell’occupazione è sempre la fine dell’occupazione, quando le forze armate di invasione tornano nel loro paese; questa, però, non è la situazione né in Cisgiordania o in Israele, né nella Striscia di Gaza. Questa è una colonizzazione, suggerisco, anche se sembra un termine anacronistico nel 21° secolo, e penso che dovremmo capire che Israele sta colonizzando la Palestina. Ha cominciato a farlo alla fine del 19° secolo e la sta colonizzando ancora oggi.
C’è un regime coloniale di coloni che controlla l’intera Palestina in modi diversi. La controlla dall’esterno nella Striscia di Gaza. Nella Cisgiordania la controlla in maniera diversa nella zona A, B e nella zona C. Ha politiche differenti verso i Palestinesi nel campo profughi, dove non permette ai rifugiati di ritornare. Questo è un altro modo di mantenere la colonizzazione, non permettendo alle persone che erano state espulse, di ritornare. Fa tutto parte della stessa ideologia.
Penso, quindi, che le parole: processo di pace e occupazione, quando sono messe insieme, creano la falsa impressione che tutto quello che è necessario, è che i militari israeliani se ne vadano dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza, e che ci sia una pace tra Israele e la Palestina futura.
Ora, le forze armate israeliane non sono nella Striscia di Gaza e non sono nella zona A. Sono appena nella zona B dove non è necessario che siano. Ma non c’è pace. C’è una situazione che è di gran lunga peggiore di quella che c’era prima degli Accordi di Oslo del 1993.
Il cosiddetto processo di pace ha messo in grado Israele di fare ulteriore colonizzazione, ma questa volta con l’appoggio internazionale. Suggerisco quindi, di parlare di decolonizzazione, non di pace. Suggerisco che si parli di cambiare il regime legale che governa la vita degli Israeliani e dei Palestinesi.
Penso che dovremmo parlare di uno stato dove c’è l’apartheid. Dovremmo parlare di pulizia etnica. Dovremmo cercare che cosa sostituisce l’apartheid. Abbiamo un buon esempio in Sudafrica. L’unico modo di sostituire l’apartheid è con un sistema democratico. Una persona, un voto o almeno uno stato bi-nazionale. Penso che questo sia il genere di parole che dovremmo cominciare a usare, perché se continuiamo a usare le parole vecchie, continuiamo a perdere tempo e non cambieremo la realtà sul terreno.
MEE: Che cosa ha in serbo il futuro per il dominio militare israeliano sui Palestinesi? In luglio rivedremo un movimento di disobbedienza civile come quello di Gerusalemme?
IP: Penso che ci sarà disobbedienza civile non soltanto a Gerusalemme, ma in tutta la Palestina, compresi i palestinesi che vivono in Israele. La società stessa non accetterebbe per sempre questo genere di realtà. Non so quali mezzi userà. Possiamo vedere che cosa accade quando non si ha una chiara strategia dall’alto che i singoli decidono di fare la loro personale guerra di liberazione.
C’era qualcosa di davvero notevole nel caso di Gerusalemme, quando nessuno credeva che una resistenza popolare potesse costringere gli israeliani a ritirare le misure di sicurezza che avevano imposto ad Haram al-Sharif (Il monte del Tempio*). Penso che questo possa essere il modello. Una resistenza popolare per il futuro che non sia in tutto il luogo ma in posti diversi.
La resistenza popolare continua sempre in Palestina. I media non ne parlano, ma ogni giorno la gente protesta contro il muro della separazione, la gente dimostra contro l’espropriazione della terra, le persone fanno lo sciopero della fame perché sono prigionieri politici. La resistenza palestinese dal basso continua. La resistenza palestinese dall’alto è sospesa.
*treccani.it/enciclopedia/al-haram-al-sharif_Dizionario-di-Storia
*treccani.it/enciclopedia/al-haram-al-sharif_Dizionario-di-Storia
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/the-biggest-prison-on-earth-2/
La pulizia etnica della Palestina di Ilan Pappé
La pulizia etnica della Palestina |
Nel 1948 nacque lo Stato d'Israele. Ma nel 1948 ebbe luogo anche la Nakba ('catastrofe'), ovvero la cacciata di circa 250.000 palestinesi dalla loro terra. La vulgata israeliana ha sempre narrato che in quell'anno, allo scadere del Mandato britannico in Palestina, le Nazioni Unite avevano proposto di dividere la regione in due Stati: il movimento sionista era d'accordo, ma il mondo arabo si oppose; per questo, entrò in guerra con Israele e convinse i palestinesi ad abbandonare i territori, nonostante gli appelli dei leader ebrei a rimanere, pur di facilitare l'ingresso delle truppe arabe. La tragedia dei rifugiati palestinesi, di conseguenza, non sarebbe direttamente imputabile a Israele. Ilan Pappe, ricercatore appartenente alla corrente dei New Historians israeliani, ha studiato a lungo la documentazione (compresi gli archivi militari desecretati nel 1998) esistente su questo punto cruciale della storia del suo paese, giungendo a una visione chiara di quanto era accaduto nel '48 drammaticamente in contrasto con la versione tramandata dalla storiografia ufficiale: già negli anni Trenta, la leadership del futuro Stato d'Israele (in particolare sotto la dirczione del padre del sionismo, David Ben Gurion) aveva ideato e programmato in modo sistematico un piano di pulizia etnica della Palestina.
Un libro dal quale non si può prescindere per capire la storia del dopoguerra nell'area del Mediterraneo ma non solo. In effetti il libro evidenzia come dietro al cinico vittimismo dello stato di israele si nasconde un piano organizzato da conosciuti criminali di guerra che, in nome di una presunta superiorità razziale, non ha esitato e non esita (complice l'indifferenza o la paura degli stati occidentali) a compiere un autentico (forse unico?) genocidio nei riguardi del popolo palestinese.
Sei libero: di condividere, di copiare, distribuire e trasmettere quest'opera sotto le seguenti condizioni
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