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Contra factum non valet argumentum”

venerdì 25 settembre 2015

I Sayanim: “Agenti Dormienti” molto attivi a servizio d’Israele




































5 gennaio 2011

I sayanim sono ebrei della diaspora che, per patriottismo, collaborano con il Mossad nell’ambito dello spionaggio o della disinformazione. Costituiscono ugualmente (allo stesso tempo) il tema principale dell’ultimo romanzo dello scrittore franco-marocchino Jacob Cohen. Investig’Action ha intervistato Cohen durante il suo passaggio (soggiorno) a Bruxelles su questa oscura rete d’influenza oltre che sullo stato attuale e l’evoluzione della situazione nel vicino Oriente. 

Intervista: Aurore Van Opstal & Abdellah Boudami

Chi sono i sayanim?

La parola ebraica sayan, al plurale sayanim, designa un ebreo che ama Israele e che, per «patriottismo», collabora con il Mossad in due settori precisamente: o il settore dello spionaggio o in attività di disinformazione, manipolazione, propaganda.
I sayanim sono persone ripartite a tutti i livelli e classi sociali della società, presenti nel governo, in parlamento, nel settore dell’economia e dei media e in effetti, in tutti i diversi tipi di mestiere.
Prendiamo per esempio il caso di un agente del Mossad che ha bisogno di un nascondiglio: un meccanico può offrire un riparo sicuro. Dunque il Mossad cerca di stabilire relazioni con tutta una serie di persone diverse, suscettibili un giorno o l’altro, di rendergli servizio.

Non vi rimproverano spesso di essere partigiano della «teoria del complotto» ?

Si, ma ciononostante, bisogna riconoscere innanzitutto che se Israele è quella che è oggi, è grazie alla sua diaspora. Questo paese non sarebbe mai stato quello che è oggi, raggiungendo un tale livello di sviluppo, senza che ci sia il sostegno di tutta la «diaspora» o meglio di tutte queste comunità ebraiche, un po’ ovunque nel mondo. Pensiamo al sostegno americano, francese, per esempio : ci sono chiaramente dei sostegni che vanno in questa direzione. Che lo si chiami complotto o altrimenti (in altro modo), c’é oggettivamente una comunione d’interessi, con sostegni (o apporti) concreti, soprattutto sostegni finanziari, materiali. Non si può negarlo. E se alcuni, senza cercare di negare i fatti sono testardi, vogliono semplicemente denigrarli chiamando tutto ciò «teoria del complotto», arriviamo al processo ben noto che consiste a qualificare d’antisemita chiunque critichi la politica israeliana.

Come si esercita l’influenza dei sayanim in campo mediatico?

Devo dire che non sono all’interno di questo settore ma, allo stesso tempo, ci sono dei casi che chiariscono questo tipo di interrogazioni.
Un caso che mi sembra davvero rivelatore: il modo in cui si é diffuso il ritratto e il nome di questo giovane caporale israeliano, detenuto dalla banda di Gaza, Gilad Shalit. Non é un paese in Europa e in America, dove si ignorano il suo nome, la sua età. Questo é quello in cui consiste il campo mediatico.
Ma questo stesso caso, illustra l’influenza dei sayanim in altri campi, specialmente diplomatici, politici, etc.

In quanto lettore della stampa israeliana, ho notato che i genitori di questo giovane soldato sono stati ricevuti da tutti i governi delle grandi potenze. Dalla Merkel, cinque o sei volte, da Sarkozy altrettante, da Bush e Obama, dal parlamento europeo. Il padre di un caporale,al quale si srotola un tappeto rosso, sembra ricevere il trattamento che nemmeno la famiglia di un generale di uno di questi paesi riceverebbe.
C’é chiaramente un’organizzazione efficace dietro tutto questo, perché ci vogliono mezzi finanziari e diplomatici importanti. E la famiglia di un modesto soldato non può mobilizzare da sola dei tali mezzi, soprattutto per un soldato d’occupazione, dobbiamo ricordarlo.

Per ritornare ai media, possiamo pensare a un altro caso sorprendente: quello delle elezioni palestinesi, che Hamas aveva vinto democraticamente. Ma subito dopo il risultato delle elezioni, delle voci si sono alzate dappertutto, in coro, dicendo che non si deve assolutamente negoziare con Hamas.
Un vero alzare lo scudo in modo sincronizzato, quando la logica la più elementare, per il parlamento europeo per esempio, sarebbe stata quella di dire ai Palestinesi: «Ok, prendiamo atto della vostra scelta, negozieremo con il rappresentante che vi siete scelti democraticamente». E non sono bastati due o tre giorni perché quella che chiamiamo la “comunità internazionale” si pieghi, si inchini nel vero senso della parola, davanti a questo diktat insensato.
Da un punto di vista pro-israeliano, d’altro canto, era completamente logico aver veicolato queste posizioni. E penso fermamente che i sayanim hanno fatto tutto ciò che hanno potuto per impedire ciò che Israele voleva evitare: Hamas come interlocutore delle negoziazioni. In realtà quest’ultimo non é corrotto come lo é una buona parte dell’autorità palestinese da molto tempo.

Questi sayanim ricevono un compenso per i servizi resi?

No, non penso. E’ abbastanza semplice per il Mossad. Non ha difficoltà a trovare dei sayanim.
Per esempio gli é facile trovare delle persone disposte a fornire il loro aiuto in seno al B'nai B'rith, che é un’organizzazione franco-massonica ebraica che conta circa 500 000 membri nel mondo, e dove il profilo parte dalla media borghesia (per arrivare) fino alle sfere più alte della società.
Ora, i membri di questa istituzione sono precisamente, secondo questo statuto, dei sostegni incondizionati a Israele.
Su mezzo milione di persone, non é difficile chiedere i servizi di qualcuno.
Victor Ostrovski (oggi scrittore, ha lavorato per il Mossad, ndr) diceva che c’erano certamente nel mondo un milione di ebrei pronti a sostenere ciecamente Israele. Ora questo paese non ha bisogno di un milione (di persone), una rete costituita da 50.000 persone é già molto efficace.

Investendosi per Israele, alcuni ebrei non cercano, come lo lasciano intendere le reazioni dei militanti della Anti Defamation League nel film Defamation, di “ricomprarsi” un’identità ebraica e una coscienza “perdute”, in un certo senso, dal fatto che non sono ebrei in senso praticante e religioso?

Innanzitutto, precisiamo che il sionismo, in quanto ideologia politica, é stata ultra minoritaria nelle comunità ebraiche prima del 1948.
I nostri dirigenti comunitari, quando ero in Marocco ai tempi della mia infanzia, ci mettevano in guardia contro il sionismo.
I sionisti erano minoritari non solo in Marocco: in Francia, in Germania, negli stati Uniti i sionisti erano visti come gente un pò folle, insensata.
Anche nell’ambito dell’ Yichouv, cioè in seno alle comunità ebraiche esistenti in Palestina, il sionismo non era cosa diffusa, senza contare che i militanti sionisti radicali picchiavano i titolari di imprese ebrei che assumevano degli arabi, e hanno addirittura assassinato un dirigente comunitario locale che voleva andare a Londra a lamentarsi dell’azione dei sionisti. E’ dopo il 1948 che i sionisti sono riusciti a “mettere la mano” sulle comunità, cioè a creare questo legame automatico tra ebreo e sostenitore di Israele. Non sono sicuro che sia un trasferimento dalla sfera religiosa verso l’ideologia sionista, poiché un buon numero di leader religiosi sostengono Israele oggigiorno. C’é molto condizionamento e propagazione di paura, che lascia intendere che se non difendiamo Israele, ci sarà di nuovo un genocidio, dei massacri, etc.
Un esempio tra mille altri: (molto) recentemente, un ministro israeliano dichiarava che il ritorno alle frontiere del 1967 sarebbe un nuovo Auschwitz. Questo dimostra esattamente il lavaggio di cervello. Israele é presentata come una fortezza assediata. In Francia vedo (noto) nei membri delle comunità ebraiche una forte impressione che niente va, il sentimento che tutti li odiano, un ripiegamento su sé stessi. E Israele contribuisce molto a creare queste impressioni che gli permettono di rafforzare i suoi legami. Per esempio gli studenti francesi possono senza problemi studiare in Israele tre o cinque anni, tutte spese pagate.

Ha un’idea del numero di sayanim che potrebbero esserci in Francia?

La mia stima è che potrebbero essere sull’ordine dei cinquemila. Perché cinquemila? Victor Ostrovski, nei suoi scritti, parla di circa tremila sayanim soltanto per la città di Londra. Estrapolando un po’ per la Francia, possiamo pensare che devono arrivare abbastanza facilmente al numero di cinquemila. Per quanto riguarda un caso pratico in Francia, possiamo pensare a un aneddoto riportato da Ostrovski.
Negli anni ottanta, in seguito a un accordo per una centrale nucleare, degli studenti iracheni erano venuti a studiare al Centre d’Etude Atomique (Centro di Studi Atomici) di Saclay.
Chiaramente, su questo tipo di dossier, il Mossad é in dovere di ottenere delle informazioni e raccogliere tutti gli elementi possibili riguardo questi studenti, la possibilità di manipolarli, etc. Dei servizi segreti, normalmente, avrebbero dovuto consacrare varie settimane al difficile lavoro d’infiltrazione e di raccolta delle informazioni. Per il Mossad é ben più semplice ! Hanno potuto contare sull’aiuto di un sayan. Quest’ultimo ha contattato, ha fotocopiato i dossier richiesti, li ha rimessi al loro posto e comunicato le copie al Mossad. Così, molto semplicemente.
E’ chiaro che un’antenna del KGB avrebbe bisogno, per Parigi per esempio, di almeno qualche centinaia di agenti.
Il Mossad può contare su sei o sette sayanim, poiché questi sono già al centro delle istituzioni.

Ma perché non sentiamo mai parlare dei sayanim?

E’ una domanda difficile, alla quale non ho una risposta certa da darvi.
Se ne parla nel mondo sassone, e per niente nel mondo francofono. Sembra che l’atmosfera in Francia sia propizia al soffocamento, perché le persone hanno paura di essere indicate col dito, di subire delle critiche. Non si tratta neanche di minacce o limitazioni dirette. E poi, in ogni modo, come dice Noam Chomsky, la selezione si opera a monte e i giornalisti che detengono i posti chiave sono persone che vanno nel senso dell’ordine stabilito e non lo stravolgeranno. E coloro che non vi si conformano sono semplicemente licenziati 
Possiamo citare il caso di RFI (Radio France Internationale) che ha avuto tre redattori capo licenziati o spinti alla dimissione per aver espresso delle opinioni non conformi riguardo il conflitto israelo-palestinese. Conosco il caso di una giornalista d’Europe 1 di cui non farò il nome, che dopo aver realizzato un reportage sui bambini palestinesi, ha subito così tante vive critiche (accese) che ha preferito non parlarne più.

Ma, in fondo, non é una pratica corrente degli stati di costituirsi delle reti all’estero? Possiamo pensare (immaginare il ) al regime marocchino che mobilizza delle tali reti nei paesi in cui risiedono degli immigrati partiti dal Marocco? O c’é una specificità israeliana? (o é una specificità)

Non c’è confronto, tanto é impressionante la potenza della rete israeliana costituita dai sayanim. E’ chiaro che gli altri stati tentano di costruire delle reti all’estero, ma il Marocco farebbe fatica ad avere l’equivalente dei tremila sayanim in Belgio, per esempio.
Gli sarebbe difficile avere degli esecutori che obbediscono ciecamente seguendo l’esempio di quello che i sayanim sono pronti a fare per Israele. Ci sono delle differenze che tengono (che si rifanno) a più ragioni. Da una parte, Israele é un paese in guerra, un paese d’occupazione. Deve quindi essere attivo al massimo. D’altra parte, c’é un carattere molto particolare dell’attaccamento che riservano certi membri della comunità ebraica a Israele, che gli altri stati non conoscono.

Per ciò che riguarda il conflitto Israelo-palestinese, qual’é la vostra visione dello stato attuale (delle cose) e della possibile evoluzione?

Ok, per me, una cosa é chiara : Israele non vuole la pace. E’ un principio chiaro e senz’appello stabilito dal nascente stato ebraico nel 1948, sapendo che non può esserci che un solo nazionalismo tra il Giordano e il Mediterraneo.
Inoltre, da un punto di vista israeliano, per tre decenni, i Palestinesi non esistevano. Gli Israeliani li consideravano come Arabi venuti dalla Giordania, dalla Siria, che non avevano altro da fare che di ritornare (da dove erano venuti), e che nulla poteva giustificare un attaccamento di queste persone alle terre palestinesi.
Questo metodo non é stato concludente, e alla fine di questo periodo, verso la fine degli anni ottanta, il metodo é cambiato. Gli Israeliani erano pronti a riconoscere ai Palestinesi una bandiera, qualche pezzetto di terra una parvenza d’autonomia, ecc. La prova concreta che non vogliono la pace, malgrado queste apparenti concessioni, é semplicemente che la colonizzazione prosegue senza sosta. Anche Yithzak Rabin, presentato come un uomo di pace, l’artefice degli accordi con i Palestinesi, era soprattutto un uomo molto intelligente e sionista fino in fondo! E’ riuscito un colpo da maestro con una parvenza di accordo di pace, ciò che ha permesso di aprire delle relazioni diplomatiche e commerciali con numerosi paesi importanti prima di ciò reticenti (India, Cina, etc) in cambio di un’autonomia di facciata e di qualche auto di funzione cedute a un’autorità palestinese molto debole e insignificante. Per la cronaca, un soldato israeliano ha fatto uscire un ministro palestinese dalla sua auto di servizio e l’ha obbligato a attraversare il check point a piedi! Per dirvi a che punto contano poco. L’immagine dell’“Arabo” in Israele é disastrosa, ed è un’abitudine molto diffusa, laggiù, di incollare uno sticker “morte agli Arabi” sulla parte posteriore della propria macchina.
Israele è uno stato razzista, e non immagino questo paese desiderare la pace con degli individui profondamente disprezzati e disumanizzati.

Quid dell’evoluzione del conflitto ?

Penso che Israele si chiuderà sempre di più in questo impasse , e che la logica dell’occupazione prevarrà fino a determinare una grossa crisi, in particolare rispetto all’Unione Europea che non potrà più accettare e chiudere gli occhi sulla situazione del Vicino Oriente.
Le azioni dei cittadini prenderanno verosimilmente dell’importanza e eserciteranno delle pressioni sui dirigenti. Dove potrà portarci tutto ciò? Difficile a dirsi, ma a mio parere, su una tragedia sanguinosa, ne ho ben paura (temo) o su un capovolgimento delle potenze.
Perché dopo tutto, se l’Unione Europea e gli Stati Uniti al giorno d’oggi sostengono Israele, le cose possono cambiare tra dieci o quindici anni. E in questa prospettiva, penso che la soluzione di uno stato sia fattibile, con gli Israeliani obbligati a negoziare e a cedere. In ogni caso, penso che a termine, e non è tanto questione di ciò che vorrei ma di ciò che osservo, (la situazione non può che evolvere) verso la soluzione di uno stato. Spero una cosa, che non sarà troppo sanguinoso..

Jacob Cohen è uno scrittore franco-marocchino. E’ nato nel 1944 nel Mellah de Meknès. Ottiene una laurea in diritto all’Università di Casablanca.
In seguito farà Sciences Po (nome della prestigiosa scuola di scienze politiche di Parigi) a Parigi e emigra a Montréal e Berlino.
Ritorna in Marocco nel 1978 e diventa assistente di ruolo all’Università di Casablanca fino al 1987.
Infine, si insedia a Parigi e scrive.
A oggi ha pubblicato cinque romanzi.
Investig’action lo interroga sul suo ultimo romanzo : « Le printemps des sayanim » (La primavera dei sayanim)(1).

Fonte: Investig'Action      www.michelcollon.info       
5.01.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCA VIGNUDELLI

Nota : (1) Vedere la presentazione del libro e dell’autore qui 

Aurore Van Opstal e Abdellah Boudami sono coautori con Michel Collon del libro Israël, parlons-en ! (Israele, parliamone!)

Fonte Come Don Chisciotte

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