Descrizione

La storia ha due volti: quello ufficiale, mendace e quello segreto e imbarazzante, in cui però sono da ricercarsi le vere cause degli avvenimenti occorsi” - Honorè de Balzac -

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano !" - Isaac Newton -

Contra factum non valet argumentum”

martedì 2 giugno 2020

2 giugno 1946. La Repubblica nasce nel sangue tra i brogli elettorali. La brutale repressione antimonarchica a Napoli. I morti di Via Medina



Se vi stupite di che tipo di nazione è quella dove vivete, dei politici e del suo popolo è perchè la propaganda comunista, Staliniana non vi ha raccontato come sono andate veramente le cose, ne è nato un trito di favole resistenziali e di "liberatori" che si sono dimostrati aguzzini, non sbaglio certamente a dirlo nel bel mezzo della truffa globale del covid-19 partita dall'Italia per tramite del suo primo ministro nemmeno passato per una elezione Sig. Conte (Dracula in confronto un ragazzino). 


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La seguente narrazione di come nacque la Repubblica ha dell'incredibile, se poi la colleghiamo con il famoso tradimento dell'8 settembre, ancora più incredibile, con questo ci vediamo al prossimo anniversario, è già pronto l'articolo, più conosciuta è la storia dell'infame guerra civile, se poi ci vogliamo allargare all'illecita Unione Europea non essendo la Germania una nazione come sta per venir fuori una volta per tutte, vedi i 30.000 soldati USA di Europe Defender, ci si rende conto che viviamo nell'illecito più completo, già sappiamo di vivere nell'epoca della menzogna universale, non si sa più cosa dire.
"Il Re, con i risultati ancora provvisori e sub judice, fu ridotto al rango di privato cittadino e posto di fronte al dilemma : partire per l’esilio o scatenare una nuova guerra civile". 
L'unica cosa che ci può salvare è una presa di coscienza totale o quasi e ne verremo fuori illesi e senza la famosa III guerra mondiale, là ci vogliono portare ...


Monarchici napoletani nei primi di giugno del 1946 

Referendum istituzionale monarchia repubblica 
del 2 giugno 1946


4 Febbraio, 2008

GIOVANNA CANZANO INTERVISTA GIOVANNI BARTOLONE

CANZANO. Come giudichi il libro del prof. Aldo Mola: “Declino e crollo della monarchia in Italia ?”

BARTOLONE. E’ un’opera molto importante perché contribuisce a far chiarezza, alla luce di nuovi documenti della Corte di Cassazione, sul referendum istituzionale del 2 giugno 1946. Ci sono molti dubbi sulla vittoria della repubblica. Per molti la repubblica è nata nel sangue e nella truffa. Altri aggiungono grazie ad un colpo di stato commesso dal governo, in un clima di guerra civile strisciante. Il ritorno alla democrazia non significò il suffragio universale. Moltissimi, troppi, italiani furono privati del diritto di voto. 

CANZANO. Puoi spiegarti meglio ? Si dice che il voto fu regolare, a parte qualche disfunzione dovuta al lungo periodo di non voto, dovuto alla dittatura, ai registri elettorali non aggiornati, all’inesperienza degli scrutatori e dei presidenti di seggio ecc. 

BARTOLONE. Andiamoci in ordine. Il referendum si svolse in un Italia sconfitta, che avrebbe firmato qualche mese dopo il trattato di pace, il famoso Diktat. Era un'Italia ancora sotto il controllo di un governo militare straniero d’occupazione. In intere regioni dell’Italia centro-settentrionale, dove il predominio delle sinistre era assoluto, non si tenne nessuna manifestazione monarchica. 

CANZANO. Vuoi dire che in qualche modo la sinistra non ha permesso manifestazioni di propaganda elettorale ?

BARTOLONE. Propagandare il voto per la Monarchia avrebbe significato esporsi a rappresaglie, minacce e violenze d’ogni tipo. In queste zone operavano ancora le “volanti rosse”, che quasi impunemente assassinavano gli avversari politici nei numerosi “triangoli della morte”. Nella stessa Roma le manifestazioni di massa monarchiche, come ad esempio quella del 10 maggio 1946, erano assaltate dagli “ausiliari di Romita”, ex partigiani inquadrati nella polizia. A Napoli i cortei monarchici erano attaccati a colpi di bombe a mano come accadde in Via Foria il 15 maggio 1946. 

CANZANO. Come si svolsero le operazioni di voto ? 

BARTOLONE. Vero è che il 2 giugno si votò nella massima calma. Ma il clima delle settimane precedenti era stato, per dirla con il socialista Pietro Nenni : 
“O la repubblica o il caos”. 
(di massonica memoria : "Ordo ab Chaos" NdR)

Il ministro comunista delle Finanze, Mauro Scoccimarro, parlando a Frascati minacciò la rivoluzione in caso di vittoria monarchica al referendum. Sandro Pertini chiedeva la fucilazione del Luogotenente Umberto di Savoia. In molti benpensanti per evirare il caos decisero di votare repubblica. 


CANZANO. Però il 2 giugno votarono per la prima volta tutti gli italiani. 

BARTOLONE. Non è vero. E’ falso. E’ un’altra leggenda da sfatare. Vero è che per la prima volta poterono votare le donne per elezioni politiche. Per favorire la vittoria della repubblica, il governo composto nella quasi totalità di repubblicani, emise un decreto legislativo, il numero 69/1946, contrario Re Umberto, dalla caduta del fascismo al 1948, il governo godeva anche del potere legislativo, nel quale si privavano del diritto di voto gli abitanti della Venezia Giulia, della Dalmazia e dell’Alto Adige. Questi cittadini sarebbero stati consultati “con successivi provvedimenti”. In altre parole mai più. Si dimenticarono della Libia – allora territorio metropolitano. I cittadini italiani residenti in Libia furono privati del diritto di voto. Forse erano già convinti di cedere queste parti del territorio nazionale a stati esteri, oppure pensavano che gli abitanti potessero votare “Monarchia”, ritenendo che un'Italia monarchica potesse difendere meglio la permanenza delle loro terre all’Italia. Meglio non rischiare, facendo votare questi cittadini italiani. Furono inoltre esclusi dal voto i prigionieri, gli sfollati, gli epurati. Gli epurati erano coloro che essendosi compromessi con il Regime, furono privati del diritto di voto. Idem i loro familiari. Ma chi, a parte una piccola minoranza, non si era compromesso col Fascismo durante il Ventennio ? Non è contraria ad ogni civile principio di civiltà giuridica una legge con effetto retroattivo in materia penale ? E i loro familiari che colpa avevano ? Nei comuni c’era molta faziosità. Molti degli esclusi dal voto non erano fascisti, ma erano monarchici. In totale furono privati del diritto di voto circa il 10 percento degli italiani, esclusi i “libici”.

CANZANO. Però la repubblica ottenne la maggioranza dei voti. 

BARTOLONE. Non è detto. Il governo non comunicò in anticipo, come avviene in tutte le elezioni del mondo, il numero degli aventi diritto al voto. Anzi, secondo molti studiosi, dalle urne non potevano venir fuori tutte quelle schede. In ogni Paese del mondo, c’è un rapporto costante tra gli aventi diritto al voto e la popolazione. I numeri sono numeri. Le leggi della demografia non lo consentono. I conti non tornano tra i “risultati” del referendum, i probabili aventi diritto al voto e la popolazione italiana del tempo. Ci sarebbero stati circa 2 milioni di voti in più nelle urne. Numerose persone ricevettero 2 o 3 certificati elettorali. Lo stesso accadde per molti defunti. Due operai comunisti impiegati ai Monopoli furono arrestati, mentre trafugavano pacchi di schede elettorali prima del voto. Prendendo per buoni i “risultati” ufficiali la repubblica avrebbe vinto per circa 250 mila voti in più rispetto al numero dei “votanti” ufficiali. Su circa 35 mila sezioni elettorali, furono presentati circa 21 mila ricorsi. Furono esaminati e respinti tutti in meno di 15 giorni. Mentre la Corte di Cassazione esaminava i ricorsi, il governo, prendendo per buoni i risultati provvisori del referendum, emise la notte del 13 giugno 1946, una dichiarazione con la quale trasferiva le funzioni di Capo dello Stato al Presidente del Consiglio in carica. Si poteva aspettare il 18, data della proclamazione dei risultati definitivi. Forse si sarebbe potuto avere una repubblica proclamata per decreto reale. Invece, forse per paura che i brogli sarebbero stati scoperti, il governo pose Umberto II di fronte al fatto compiuto. Il Re, con i risultati ancora provvisori e sub judice, fu ridotto al rango di privato cittadino e posto di fronte al dilemma: partire per l’esilio o scatenare una nuova guerra civile. Una nuova guerra civile avrebbe comportato, oltre a nuovi lutti, la probabile perdita di parti del territorio nazionale a favore della Francia, della Jugoslavia e dell’Austria e forse la secessione d’alcune regioni. In poche ore a Napoli furono raccolte decine di migliaia di firme a sostegno di un manifesto del Movimento Separatista del Mezzogiorno d’Italia, dell’ing. Carlo Rispoli. I promotori sostenevano che con la vittoria repubblicana si era sciolto il Patto del 1860 con il quale si era accettata l’Unità d’Italia sotto la dinastia dei Savoia. Volevano ricostituire il Regno delle Due Sicilia con Re Umberto. Una simile dichiarazione emise ad Enna il 10 giugno il Movimento per l’Indipendenza Siciliana. Volevano un Regno di Sicilia con sovrano Umberto di Savoia. Incidenti, con morti e feriti, scoppiarono a Palermo, Taranto, Bari, Messina, e soprattutto a Napoli. A Napoli ci furono una dozzina di morti e moltissimi feriti. 

CANZANO. Perché a Napoli i disordini furono più numerosi ?

BARTOLONE. La situazione era particolarmente critica a Napoli. La città aveva votato per più dell’80%, in favore della Monarchia. Per controllare la situazione napoletana il governo, nella persona del ministro dell’Interno, il socialista Giuseppe Romita, non aveva trovato niente di meglio che militarizzare la città, facendovi affluire numerosi reparti di polizia ausiliaria. Questi reparti, alle dirette dipendenze dello stesso ministro, erano formati per la maggior parte da ex partigiani comunisti del nord. Da qui l’appellativo di “guardie rosse di Romita”. Usarono sempre con la mano pesante nei confronti della popolazione, considerata alla stregua di un nemico ideologico. 

CANZANO. Quale fu il bilancio ?

BARTOLONE. Il sangue a Napoli ricominciò a scorrere la sera del 6 giugno 1946, quando uno sconosciuto lanciò una bomba a mano, vicino la chiesa di Sant’Antonio a Capodimonte, contro un numeroso gruppo di giovani, reduci da una dimostrazione monarchica. Sono ferite otto persone. Una, Ciro Martino, morirà agli Incurabili.

CANZANO. Come si organizzarono i napoletani ?

BARTOLONE. Quella stessa notte, al numero 311 di Corso Umberto I si costituisce il Movimento Monarchico del Mezzogiorno (uno dei nuclei fondatori del futuro Partito Nazionale Monarchico) e si adotta il simbolo di “Stella e Corona”. La mattina del 7 giugno, a Napoli si diffonde la notizia dell’arrivo d’Umberto. Il Re ha deciso di battersi per il suo buon diritto e ha scelto la città come suo quartiere generale. E’ un’esplosione di gioia popolare. Tutti i monarchici napoletani sono in piazza. Bisogna accogliere degnamente il Sovrano. Si forma un imponente corteo che, accompagnato dalle note solenni della “Marcia Reale” suonata da un’improvvisata banda musicale o da alti inni della Patria, avanza lungo il Rettifilo, diretto Palazzo Reale o a San Giacomo, ove si pensa che sia il Re. Si ricongiunge con il grosso concentramento degli universitari, in attesa presso la Federico II. A Piazza Nicola Amore c’è un largo, impenetrabile sbarramento di camionette degli “ausiliari di Romita”. Alla testa del corteo, che nel frattempo si è fermato dubbioso, un giovane scugnizzo di 14 anni, Carlo Russo, completamente avvolto in un grande tricolore con lo stemma sabaudo. E’armato solo di quella bandiera. E’ deciso a passare, nonostante i celerini. Avanza deciso. I mitra degli ausiliari sparano ad altezza d’uomo. Si contano molti feriti. Uno dei primi a cadere è Carlo Russo. Con la fronte squarciata, s’abbatte avvolto nel tricolore, diventato ora il suo sudario. Solo il deciso intervento dei Reali Carabinieri permetterà poi agli ausiliari di sfuggire al linciaggio della folla inferocita. Carlo Russo morirà, dopo un’atroce agonia, due giorni dopo. L’8 giugno muore lo studente Gaetano D’Alessandro, d1 16 anni. Il ragazzo stava tornando a casa dopo una manifestazione monarchica di protesta per le violenze del giorno prima. Aveva alle spalle un grande tricolore con lo stemma sabaudo. Nei pressi di Piazza dei Vergini, è fermato da una camionetta piena d’ausiliari. Gli intimano provocatoriamente di consegnare la bandiera. Il ragazzo sfugge ai poliziotti e si arrampica sul cancello di una vicina chiesa, sventolando la bandiera e gridando a squarciagola: “Viva il Re!” Alle grida accorre numerosa la popolazione, che subito circonda minacciosa la camionetta. I celerini devono abbandonare, scornati, il campo sotto un subisso di fischi e pernacchie provenienti da una schiera di giovanissimi scugnizzi. Un celerino, rabbioso, però vuole vendicarsi. Con fredda determinazione, con una raffica di mitra uccide il ragazzo ancora aggrappato al cancello. Nel cadere, il suo corpo si avvolge in quel tricolore che ha difeso a con la vita. Ora anch’egli ha una bandiera per sudario.

CANZANO. Ci furono ancora molti morti per la bandiera tricolore?

BARTOLONE. L’11 giugno è una giornata di passione e di sangue. Al balcone della Federazione del PCI di Via Medina, accanto alla consueta bandiera rossa con falce e martello, è esposta una strana bandiera tricolore. Si vede l’effigie di una testa di donna turrita nel campo bianco al posto del tradizionale stemma sabaudo. Per Napoli, che ha votato per l’80% Monarchia, è una vera e propria provocazione. Fulminea si sparge la notizia per la città. A migliaia, spontaneamente, si dirigono a Via Medina. La stragrande maggioranza è composta di giovani e giovanissimi. In molti hanno partecipato con coraggio nel 1943 alle cosiddette “quattro giornate“ contro l’occupazione tedesca. Qualcuno ha le stesse armi di allora: pietre, solo pietre. L’obiettivo è : strappare e distrugge quel vergognoso vessillo, poi si tornerà festeggiando a casa. Dall’altra parte c’è qualcuno però che ha deciso di farla finita una volta per sempre e di soffocare nel sangue le proteste popolari. In Via Medina ora, oltre le camionette, vi sono decine di blindati e celerini in assetto di guerra. La sede comunista è difesa da numerosi militanti armati. I primi gruppi di dimostranti appena arrivati, rovesciano i tram per rendere difficoltosi i micidiali caroselli degli automezzi della Celere. Seguono salve di fischi, urla, insulti all’indirizzo della bandiera esposta. Poi un giovane marinaio di leva, Mario Fioretti, aggrappandosi ai tubi e alle sporgenze inizia a scalare il palazzo della federazione per arrivare al 2° piano e asportare quella bandiera. In minuto è quasi giunto al drappo conteso. Basterà allungare la mano, impadronirsene e tutto sarà finito. Da una finestra della federazione comunista però spunta un braccio armato di pistola, che a bruciapelo spara sul giovane marinaio. Mario Fioretti stramazza cadavere sul selciato, mentre dai presenti si levano urla d’orrore e di rabbia. Altri giovani, per nulla spaventati dalla morte del loro coetaneo, cominciano anch’essi la scalata verso quel balcone. Un gruppo di dimostranti duramente contrastato da un gruppo di celerini, cerca di guadagnare le scale per salire al piano superiore. Tra poco i dimostranti avranno la meglio, ma dalla caserma di polizia, posta quasi di fronte al palazzo assediato, s’incomincia a sparare contro i nemici che sono quasi arrivati alla bandiera. Sparano per uccidere. Cadono uno dopo l’altro e si sfracellano a terra : Guido Bennati, Michele Pappalardo, Felice Chirico. Michele Pappalardo doveva sposarsi l’indomani e invece della fidanzata è andato a sposarsi con la morte. Aveva detto alla madre : “Mammà piglio ‘a bandiera e po’ torno…’ Una bandiera tricolore con lo scudo sabaudo diventa il suo sudario. A Via Medina scoppia l’inferno. I feriti si contano a decine. Muore in un lago di sangue, sempre colpito da pallottole, l’operaio monarchico Francesco d’Azzo. Le autoblindate della Celere hanno avuto finalmente ragione delle rudimentali barricate, alzate dai monarchici, e stanno per avventarsi con i loro terribili caroselli sui dimostranti, quando la studentessa Ida Cavalieri fa barriera col proprio corpo inerme nel disperato tentativo di fermarne la corsa. L’ordine è disperdere la folla, costi quel che costi. A Napoli, quel giorno, la vita umana non vale niente. Così Ida Cavalieri è stritolata dagli automezzi repubblicani. Non accade il miracolo di Piazza Tienanmen, a Pechino. Un appartenente alla Regia Marina, Vincenzo Guida cerca di organizzare la resistenza, innalzando una grande bandiera sabauda su di un palo. E’ colpito mortalmente alla nuca da un colpo di un moschetto, sparato da un celerino. Quando la strage è finita arriva la polizia militare americana che, insieme ai Reali Carabinieri, a stento riesce a sottrarre i celerini e gli attivisti comunisti alla collera popolare. Alla fine della tragica giornata di sangue, si conteranno, oltre i morti circa 50 feriti gravi. Tra questi ultimi, tutti colpiti da armi da fuoco, Gerardo Bianchi di 15 anni, Alberto De Rosa di 17, Gianni Di Stasio di 14, Antonio Mariano di 12, Giovanni Vibrano di 11, Raffaele Palmisano di 10 e Tino Zelata di 8. Gli altri feriti avevano in media 20-30 anni. 


CANZANO. Che successe dopo ?

BARTOLONE. Il Re partì. Non voleva avere sulla sua coscienza di cattolico osservante i lutti di una nuova guerra civile e la fine dell’Unità nazionale conquistata durante il Risorgimento. Vi furono promesse e pressioni sulla Cassazione. Alla fine fu accolta a maggioranza, 12 contro 7, compreso il voto favorevole alle tesi monarchiche del presidente della Corte, Giuseppe Pagano, sostenute dal parere favorevole del procuratore generale Massimo Pilotti, la tesi repubblicana: è “votante” solo colui il quale abbia compiuto “una manifestazione positiva di volontà”. In pratica un milione e mezzo circa di votanti, in bianco o nulli, non avevano votato. Sicché la presunta maggioranza per la repubblica si ridurrebbe a 200 mila voti circa. La prova inconfutabile che fu un colpo di stato, è desumibile dalla Gazzetta ufficiale della repubblica italiana del 1° luglio 1946. Pubblicando il decreto del passaggio dei poteri di Capo dello Stato da De Gasperi a De Nicola, si precisò che De Gasperi deteneva tali poteri dal 18 giugno, cioè dal giorno in cui la Corte emise la sentenza definitiva.

BIOGRAFIA.
Giovanni Bartolone, nasce a Palermo nel 1953, ove insegna Diritto ed economia nelle Superiori. Vive a Bagheria (PA). E’ laureato in Scienze Politiche, indirizzo Politico Internazionale, con una tesi sul Referendum istituzionale del 1946. E' da molti anni impegnato in ricerche sulla II guerra mondiale, il Fascismo, il Nazional socialismo, il fenomeno della mafia, la Sicilia dallo sbarco Alleato alla morte di Salvatore Giuliano. Ha pubblicato nel 2005 a sue spese il libro “Le altre stragi”, dedicato alle stragi alleate e tedesche nella Sicilia del 1943/44 e il saggio Luci ed ombre nella Napoli 1943-1946, ISSES, Napoli, 2006. Può essere contattato al seguente indirizzo di posta elettronica: gbartolone@interfree.it

giovanna.canzano@yahoo.it
skype: giovanna canzano roma
messanger: giovanna.canzano@hotmail.it

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2 giugno 1946: come andò veramente il referendum istituzionale monarchia repubblica

Nel corso del referendum istituzionale del 2 Giugno 1946 Napoli aveva dato l'83% dei voti alla Monarchia.


Il Re Umberto II aveva visitato la fedelissima città pochi giorni prima del referendum, accolto da una folla di 300.000 persone acclamanti. Il popolo aveva occupato la Prefettura per issare il Tricolore sabaudo che il Prefetto, nominato dai partiti, non aveva voluto esporre.


Napoli, 20 Maggio 1946: veduta parziale dell'immensa folla accorsa in piazza
del Plebiscito per acclamare  Re Umberto II
Quando, a urne chiuse, cominciarono a diffondersi notizie di brogli a danno della Monarchia soprattutto nel Centro e nel Nord, i napoletani, a partire dal 5 Giugno, scesero in piazza invocando il Re.

Gli ausiliari dell'allora Ministro dell'Interno Romita (ex partigiani di chiara matrice socialista o comunista), osteggiati dalla gente, operarono delle repressioni sempre più violente.

Nei giorni 9, 10 e 11 Giugno furono impiegate addirittura le autoblindo per disperdere la folla. A via Medina, in una furiosa battaglia sotto la federazione comunista si ebbero 9 morti, tutti molto giovani, e oltre 150 feriti… tutti di parte monarchica !

Sui sanguinosi fatti di Napoli (giovani monarchici caduti anche in altre parti della città) calò il silenzio, (che dura anche oggi) e non ci furono processi. Si parlò al tempo di teppisti.

Il referendum istituzionale svoltosi il 2-3 giugno 1946 vide la vittoria della scelta repubblicana contro quella monarchica con più di due milioni di voti di distacco, ma anche alcune polemiche per sospetto di brogli. A Napoli, città con un'elevata percentuale di popolazione (circa 80%) di fede monarchica, la contestazione sui risultati del referendum accese gli animi e la lotta politica fra monarchici e repubblicani si trasformò in una battaglia per le strade. Nei giorni seguenti la proclamazione della vittoria della Repubblica gran parte della popolazione partenopea insorse

La sera del 7 giugno una bomba lanciata da una mano anonima a Capodimonte, vicino alla chiesa di Sant'Antonio, colpisce un gruppo di giovani monarchici reduci da una manifestazione, ferendo Ciro Martino, morto in seguito all'Ospedale degli Incurabili. Il giorno successivo si diffonde la voce, rivelatasi poi completamente infondata, di un arrivo a Napoli di Umberto II, deciso a battersi per la monarchia. La notizia agita la città e si forma in grande corteo monarchico che si scontra con un blocco di ausiliari di pubblica sicurezza inviati dall'allora ministro dell'interno Giuseppe Romita per controllare la situazione. Nello scontro muore, ferito alla testa, il quattordicenne Carlo Russo; la situazione non degenererà ulteriormente solo grazie all'intervento dei Carabinieri, al tempo ritenuti un'arma fedele al Re e per questo motivo accusati dal giornale socialista L'Avanti di comunanza con i dimostranti. L'8 giugno durante incidenti con le forze di pubblica sicurezza rimane ucciso il sedicenne Gaetano d'Alessandro.

A questi scontri partecipò anche, tra i manifestanti pro monarchia, il futuro intellettuale comunista Biagio De Giovanni, allora solo quattordicenne che così in seguito spiegò la sua partecipazione:
«Già leggevo Hegel - ero monarchico perché credevo all'unita dello Stato. (...) Scappai quando la situazione s'incanaglì»


Le cronache degli scontri dal quotidiano “ITALIA NUOVA”, diretto da Enzo Selvaggi
8 Giugno 1946

Numerosi morti e feriti a Napoli provocati dagli agenti mandati dal Nord - Bandiere nei quartieri popolari.
Dopo gli incidenti della giornata, Napoli all'alba di oggi si è risvegliata in uno sventolio di bandiere tricolori con lo stemma sabaudo. Specialmente nei quartieri popolari si può dire che non c'era balcone senza la sua bandiera. Il fenomeno di questa manifestazione spontanea, checché se ne pensi e malgrado le deformazioni, non può che riuscire profondamente significativo....

A questo proposito vorremmo che le autorità si preoccupassero di evitare zeli eccessivi, specie da parte di taluni reparti di polizia ausiliaria composti da nativi dell'Italia settentrionale. Il contegno di taluni di questi ha contribuito moltissimo ad aumentare 1'eccitazione popolare. Alcuni reparti montati su autocarri hanno percorso le vie della città cantando "Bandiera Rossa". Da ogni parte ci vengono segnalati episodi di violenza e di mancanza di calma.

5 Giugno 1946: incidenti a piazza della Borsa
Sopraffazioni brutali
Alle ore 16.30 di oggi, durante una pacifica manifestazione di popolane e ragazze in via Vergini, un bambino di 12 anni è stato violentemente colpito alla testa da un colpo di manganello usato da un ausiliario della polizia. II ragazzo e morto e il cadavere è rimasto al centro della strada per oltre un'ora tra l'eccitazione popolare vivissima.

Il presidente dell'U.M.I. ha richiesto al Questore di far rientrare i reparti di polizia ausiliaria e della Celere, i quali per la loro particolare violenza vengono indicati dalla folla come la "pulizia repubblicana". Il presidente dell'U.M.I. ha fatto presente che declina ogni responsabilità relativamente all'ordine pubblico.

Nella mattinata si è improvvisamente formato in grande corteo in piazza Carlo III con bandiere e ritratti di Re Umberto. Il corteo si e diretto verso Porta Capuana, il rettifilo, l'Università. Nei pressi dell'edificio universitario la Celere è intervenuta facendo uso delle armi contro la folla. Ne è nato un violento conflitto nel corso del quale la Celere e rimasta sopraffatta. Reparti di truppa armata, intervenuti nella piazza, hanno bloccato le strade e hanno tentato di disperdere i dimostranti. Si lamentano due morti e numerosi tra i feriti sono in condizioni disperate; Russo Carlo fu Ciro, ferito da arma da fuoco al cranio e Cristiano Vincenzo fu Antonio, colpito da proiettile al basso venire. Numerosi dimostranti hanno riportato ferite al cuoio capelluto e al volto, provocate dai manganelli della polizia ausiliaria.

A sera la situazione in città permane gravissima. Sembra che la polizia non sia più in condizione di controllare completamente l'ordine pubblico. I manifestanti in via Roma erano decine di migliaia. Anche in questa strada la polizia alleata ha sciolto gli sbarramenti di polizia ausiliaria e ha fiancheggiato il corteo dei dimostranti.

Quartiere di Barra, 6 Giugno 1946: il funerale del giovane Carlo Russo,
ucciso dagli ausiliari di Romita all'altezza del n° 311 di Corso Umberto
Una raffica di mitra uccide Michele Pappalardo, di 22 anni, reo di aver insultato i poliziotti mentre ritornava dal funerale di Russo.




11 Giugno 1946
Un corteo di 100 mila persone percorre le vie di Napoli
Qualunque cosa possa accadere, queste giornate di giugno rimarranno memorabili. Domenica, un imponente corteo da Piazza Carlo III si è diretto attraverso Via Foria, Via Museo, Via Roma, a Santa Lucia, dove alcuni dimostranti hanno parlato alla folla. Si verificavano scene di grande commozione. I dimostranti sfilavano sotto una pioggia di fiori tra due ali di folla plaudente. Ieri mattina si sono avuti numerosi incidenti presso le edicole dei giornali dove era esposto L'Avanti! Il giornale socialista ha riportato ridicole calunnie e ha scritto che a Napoli le squadre monarchiche saccheggiano i magazzini, che i Carabinieri fanno causa comune coi dimostranti, che i viveri mancano e che i cittadini vengono aggrediti e percossi. 
6 Giugno 1946: La salma del quattordicenne
Carlo Russo coperta di fiori è meta d'un
continuo pellegrinaggio del popolo napoletano.
(Sala mortuaria ospedale Incurabili)
La popolazione, giustamente indignata, ha sequestrato le copie del giornale e molte ne ha affisse sui muri con la dicitura: “E' vero?”.

Il prefetto di Napoli e stato costretto a smentire. Nel pomeriggio sono stati celebrati i funerali delle vittime degli incidenti dei giorni scorsi. Veramente grandiosi sono stati quelli di Carlo Russo, dodicenne, ucciso da una raffica di mitra.

Scatti degli scontri che coinvolsero i manifestanti monarchici a Napoli.
Fonte foto G. Bocca, Storia della Repubblica Italiana

13 Giugno 1946 - Il fermento popolare a Napoli aumentato per le sanguinose repressioni.
La situazione, a Napoli, si è aggravata ! Le conseguenze sanguinose degli incidenti verificatisi martedì sera, hanno portato l'esasperazione della popolazione napoletana a tale grado per cui è da temere che nei prossimi giorni e nelle prossime ore, anche se sono state proibite manifestazioni, dimostrazioni etc., i disordini possano trasformarsi in moti anche più gravi.

Ci sono stati dei morti, bisogna ricordarlo, e continuano gli scontri che provocano altri morti, perché da una parse si sostiene il diritto di poter liberamente manifestare la propria opinione e di opporsi ai risultati incerti di una votazione, mentre dall'altra si vorrebbe fare accettare una situazione politica nazionale che non è ancora chiara e convincente.

Ed eccoci ora alla cronaca degli incidenti di martedì sera. Doveva essere la giornata della repubblica, ma Napoli di questa festa non s'è accorta. I negozi erano aperti e la vita della città si è svolta normalmente fino alle ore diciannove.

In quest'ora apparve in Via Medina un corteo di dimostranti che transitava per raggiungere il centro della città. Altri cortei si erano formati nei quartieri più popolari della periferia e si dirigevano verso il centro. In Via Medina c'è la sede napoletana del PCI. Una bandiera rossa sventolava ad una finestra ed un'altra tricolore senza lo stemma sabaudo, era esposta ad un'altra finestra. Le poche forze di polizia che stazionavano a protezione della sede, intuirono subito quali conseguenze avrebbero provocato quelle due bandiere. Così si disposero subito a difesa del portone che dà accesso alla sede. La folla dei dimostranti diede subito a capire che intendeva togliere dalle finestre le due bandiere. Le versioni su questo memento sono diverse e contrastanti. E' un fatto che, subito avvertite, altre forze di polizia con camionette e autoblindo giunsero sul luogo. D'improvviso il grido della folla venne interrotto dallo schianto provocato dallo scoppio di una bomba. Dopo un primo momento di perplessità, i dimostranti tentarono di sfondare il portone. Le forze di polizia che forse temevano d'essere sovverchiate aprirono il fuoco. Molti caddero a terra feriti. Seguì un silenzio profondo che durò un attimo.

E infatti si diradarono dirigendosi verso l'una o l'altra parte di Via Medina. Ma a terra giacevano e lanciavano grida orrende di dolore. Altri feriti, meno gravi, stimolavano invece i dimostranti a continuare nella lotta.

9 Giugno 1946: uno
dei caduti di via Medina

Intanto la notizia della sparatoria in Via Medina, s'era diffusa in città. I dimostranti degli altri cortei che già avevano raggiunto il centro appreso ciò che stava avvenendo, invertirono la loro marcia e si dirigevano verso Via Medina. L'arrivo delle nuove colonne di dimostranti provocò il rinnovarsi della lotta che è durata per circa due ore. La polizia ha fatto ancora uso delle armi contro i dimostranti i quali provvedutisi, in un deposito alleato vicino, di fusti vuoti di benzina, si son serviti di questi per proteggersi. C'è chi ha tentato con un bidone di benzina di appiccare il fuoco al portone della casa dove ha sede il PCI.

Le autoblindo e le camionette cariche di agenti hanno compiuto diverse evoluzioni nella strada e nelle vicinanze per cercare di rompere il cerchio della massa dei dimostranti. Ma appena l'intenzione delta polizia si rivelò, alcuni dimostranti hanno bloccato l'accesso di Via Medina con due vetture tranviarie. Una donna caduta a terra a seguito all'ondeggiamento della folla, è finita sotto un'autoblindo. La lotta continua ancora alle ventidue. Altre bombe vennero lanciate e altre raffiche di mitra vennero sparate dalla polizia. Poi la folla dei dimostranti ha cominciato a defluire dall'una e dall'altra parse di Via Medina non senza aver prima raccolti i morti e i feriti i quali vennero tutti trasportati agli ospedali.

Via Medina - 10 Giugno 1946: un giovane

monarchico viene trasportato morente all'ospedale
Il triste bilancio della giornata di martedì è il seguente: all'ospedale dei Pellegrini sono stati trasportati 7 morti e 112 feriti dei quali 51 in condizioni assai gravi, all'ospedale degli Incurabili è stato trasportato un morto e 12 feriti. Le forze di polizia hanno avuto feriti 12 carabinieri, 5 agenti e 2 soldati.

Dei 51 feriti gravi, 10 sono deceduti. Così i morti ascendono a 18. Un marinaio, inoltre, è morto all'Ospedale della R. Marina dove sono stati ricoverati altri tre feriti.

E chi aveva ordinato alle forze di polizia di sparare sulla folla? Un membro del Governo: il Sottosegretario di Stato Giorgio Amendola, il quale ha creduto di avere veste e autorità per sostituirsi al Prefetto e al Questore di Napoli. Senonché la notizia di questa iniziativa è trapelata e il Comando alleato ha provveduto all'immediato arresto del comunista Amendola che era giunto a Napoli per tenere un comizio repubblicano oggi in piazza Plebiscito. Comizio che non ha più avuto luogo in seguito alle disposizioni emanate dal Prefetto della città. Non appena si è conosciuta la notizia dell'arresto del Sottosegretario Amendola, e le ragioni che l'avevano determinato, una viva indignazione si e diffusa tra la popolazione napoletana. C'è voluto l'intervento del Governo italiano perché il comando alleato decidesse il rilascio dell'arrestato.

Questo episodio ha gravemente influito e influirà sullo sviluppo della situazione napoletana che e più che mai tesa e difficile. La popolazione trae conclusioni poco edificanti dalla leggerezza o dalla troppo meditata iniziativa di un membro del Governo che si è assunto l'arbitrio di far sparare sulla folla, mietendo vittime fra donne e giovani. (Amendola è lo stesso che ammise di essere il responsabile di aver ordinato l'attentato di Via Rasella a Roma che portò alla rappresaglia delle Fosse Ardeatine, secondo la Convenzione di Ginevra attentato fuori legge, rappresaglia prevista se non si consegnano i responsabili NdR)


Ventennale dell'eccidio di via
Medina a Napoli. (Tribuna politica)
Numerosi episodi di violenza da parte della polizia vengono segnalati. In Piazza Carità alle 10 un gruppo di cinque persone era presso un'edicola quando si fermava improvvisamente una camionetta di “ausiliari” i quali senz'altro si davano a colpire coi manganelli i pacifici cittadini. Un vecchio e una ragazza, caduti a terra, sono stati ancora ripetutamente malmenati coi calci di fucile, fra l'indignazione dei presenti.


Gli edifici pubblici sono presidiati dalla forza pubblica e numerose pattuglie perlustrano le vie del centro. L'autorità giudiziaria ha ordinato un'inchiesta sugli avvenimenti di Via Medina, dando incarico al sostituto procuratore del Re Cav. Giancotti di procedere all'interrogatorio dei feriti. Sono in corso le perizie medico-legali per accertare se le ferite riportate dai carabinieri e dai marinai provengono o meno dai militi della polizia ausiliaria. Continuavano intanto le autopsie dei cadaveri.


La notte del 12 giugno il governo si riunì su convocazione di De Gasperi. Costui aveva ricevuto in giornata una comunicazione scritta dal Quirinale nella quale il re si dichiarava intenzionato a rispettare il responso degli elettori votanti, secondo quanto stabilito dal decreto di indizione del referendum, aggiungendo che avrebbe atteso il giudizio definitivo della Corte di Cassazione secondo quanto stabilito dalla legge. La lettera, che sollevava la questione del raggiungimento del quorum dei votanti, suscitò le preoccupazioni dei ministri intenzionati alla proclamazione immediata della repubblica, secondo la celebre frase del leader socialista Pietro Nenni:
«o la repubblica o il caos!»,
mentre, nello stesso tempo, era necessario far fronte alle crescenti proteste dei monarchici, come quelle represse sanguinosamente il giorno prima a Napoli. Lo stesso 12 giugno una nuova manifestazione monarchica venne dispersa violentemente. Il giorno successivo l'ex re Umberto II lasciò l'Italia, andando in esilio in Portogallo.

Questo l'elenco di una parte delle vittime degli scontri:

Ida Cavalieri (19 anni)

Vincenzo Di Guida (20 anni);

Gaetano D'Alessandro (16 anni);
Mario Fioretti (21 anni);
Michele Pappalardo (22 anni);
Francesco D'Azzo (21 anni);
Guido Beninato;
Felice Chirico;
Carlo Russo (14 anni).
Secondo alcune fonti i poliziotti uccisero anche due carabinieri che si erano schierati coi dimostranti monarchici.



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