Descrizione

La storia ha due volti: quello ufficiale, mendace e quello segreto e imbarazzante, in cui però sono da ricercarsi le vere cause degli avvenimenti occorsi” - Honorè de Balzac -

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano !" - Isaac Newton -

Contra factum non valet argumentum”

venerdì 5 febbraio 2016

Piero il Terribile L’arte di odiare del fascistissimo Buscaroli, che non perdona niente a nessuno


Incredibile, incredibile personaggio, controcorrente al punto giusto, non lo conoscevo, valeva proprio la pena di fare tre articoli, come conclude questo : Se Buscaroli non ci fosse bisognerebbe inventarlo ...

Piero il Terribile L’arte di odiare del fascistissimo Buscaroli, 
che non perdona niente a nessuno

di Camillo Langone
14 Febbraio 2010

Scoprii l’esistenza di Piero Buscaroli nel libro più bello di Vittorio Sgarbi, “Dell’Italia”. Il capitolo a lui dedicato e la relativa foto me lo presentarono così odioso che corsi subito a procurarmi “Paesaggio con rovine” e dopo poche pagine decisi che da quel momento il mio pantheon stilistico si sarebbe chiamato ABC, Arbasino Buscaroli Ceronetti. Poi lo persi di vista perché tralasciando la storia-storia si buttò a corpo morto sulla storia della musica sfornando volumoni, preoccupanti per foliazione o titolazione, su Beethoven e Mozart. Io ho tante perversioni ma grazie a Dio non quella della musica classica, a Van Beethoven preferisco Van De Sfroos o Van Morrison e del “Don Giovanni” non mi è mai interessato altro che il libretto di Lorenzo Da Ponte. Siccome alla formula ABC mi ci ero affezionato dovetti trovare un’altra B e la scovai non lontano: B come Brizzi, l’ancor più bolognese Enrico. Quindi abbandonai Buscaroli al suo destino e senza gran rimpianto perché il contatto personale era stato disastroso: siccome stavo elaborando un lungo articolo laudatorio, avente l’obiettivo dichiarato di aiutarlo a riemergere dal pozzo di silenzio in cui era stato precipitato per motivi politici e caratteriali, pensò bene di minacciarmi di querela. Dovetti dare ragione a Pietrangelo Buttafuoco che proprio sul Foglio lo definì in questo modo: “Odia gli amici”.

Piero il Terribile ha finalmente pubblicato l’opus magnum che Mondadori annunciava da molto tempo: “Dalla parte dei vinti. Memorie e verità del mio Novecento”. A un certo punto della pachidermica gestazione, verso la fine dell’anno scorso, ho anche temuto che il libro fosse stato abortito: magari l’editore si era spaventato per l’alto tasso fascistisco del manoscritto, magari l’autore aveva insultato a sangue e poi immancabilmente querelato i poveri redattori colpevoli di aver tolto un paio di virgole… Ma tutto è bene quel che finisce bene e il bene in questo caso sono cinquecentoventuno pagine che racchiudono sessantasette anni di odio inesausto e meticoloso. Una durata che non può non destare ammirazione: nel 2003 lo storico imolese ha festeggiato le nozze di diamante col suo disprezzo verso gli italiani e adesso avanza a grandi passi verso le nozze di non so quale luminosissimo e preziosissimo materiale, “senza pentimenti, senza sospiri, senza lagrime”.

Buscaroli odia gli antifascisti e anche parecchi fascisti e vari neofascisti (Almirante non viene dipinto molto bene), odia i vivi e odia i morti, odia i singoli e le nazioni: non solo la perfida Albione, sarebbe troppo facile, odia perfino la martoriata Polonia, “nazione d’incoscienti”, “stato vassallo, abbastanza spregevole”. Insomma, se Hitler ha deciso l’invasione è perché i polacchi se la sono cercata, un po’ come quelle donne poco vestite che ancheggiando provocano i bravi ragazzi trasformandoli in stupratori. Forse l’unico vero difetto di questo libro grandioso, “larger than life” come si dice, è che l’odio apparentemente ecumenico sembra vacillare di fronte al Führer e al Duce: i due soggetti vengono criticati ma non fino in fondo, non fino alla completa demolizione che si meriterebbero e che ad altri non viene risparmiata. Dino Grandi, vecchio amico di famiglia (anch’egli imolese) ma soprattutto bestia nera del Piero Furioso, è oggetto di interi capitoli deprecatori, tra i più convincenti dal punto di vista storico. L’estensore dell’ordine del giorno che portò alla caduta di Mussolini fece tanti piccoli danni a Londra, da dove mandava rapporti diplomatici “servili e menzogneri”, e uno enorme a Roma. Buscaroli smonta il 25 Luglio, spacciato dalla storiografia corrente come estremo tentativo di salvare il salvabile, mostrandolo invece come una congiura di mentecatti (gerarchi, generali, Savoia…) che non sapevano quello che facevano e che per maldestrezza riuscirono a trasformare una semplice sconfitta militare nell’annientamento morale e civile che sappiamo. Il disprezzo per Grandi è un’eredità che viene dal padre, anzi dal “Babbo”, latinista che definisce il futuro ministro degli Esteri e della Giustizia “un somaro, sbaglia a scrivere le parole, da non passare la licenza elementare”. Il figlio trasforma questo sentimento in odio e lo coltiva annaffiandolo per tutta la vita. A pagina 129 c’è una lettera tremenda del 1966, indirizzata a Grandi in persona siccome Buscaroli non è uno che le manda a dire: 
“Giudico lei, signor Conte, come l’altro Conte, il genero, e tutti i soci, fucilati e scampati”. (A Galeazzo Ciano non basta essere finito davanti al plotone di esecuzione per ottenere la grazia dallo storico). “Non per avere tradito il Duce, come ripetono i fascisti cretini, ma per aver consegnato l’Italia al Badoglio, che la consegnò ai tedeschi inglesi e americani”. (Per capire meglio questo passaggio ricordo che l’autore si dichiara più volte fascista non mussoliniano, perciò non cretino, o non del tutto). “Senza il 25 Luglio, signor Conte, non ci sarebbero stati lo sbarco di Salerno e l’infame catena di assassinii che i coglioni chiamano guerra civile e che fu la guerra inventata e imposta dal partito comunista”. (Altro punto fermo del pensiero buscaroliano è l’inesistenza della resistenza: le azioni che vanno sotto questo nome sono da considerarsi soltanto terrorismo rosso, stragismo impunito anzi medagliato come quello di via Rasella). “Totale fallimento, inesperienza, presunzione, ignoranza, che squalifica lei e tutti i suoi soci nell’azione più sciagurata di tutta la guerra. Non ho altro da dirle”.
(La chiusa della lettera spedita al settantenne ex gerarca mi ricorda gli straordinari versi di “Adius”, i più memorabili del cantautore maledetto Piero Ciampi: “Vaffanculo, non ho altro da dirti, sai che bel vaffanculo che ti porti nella tomba”).

Insultario buscaroliano
Assassino e dittatore. “Alla fine d’agosto, il dittatore Badoglio si rivelò un solerte assassino, i Reali Carabinieri uccisero Ettore Muti col sovietico colpo alla nuca in piena notte”.
Estremisti sanguinari. “C’erano altri, comunisti e tipi che i comunisti superavano in ferocia, Emilio Lussu, Riccardo Bauer e Sandro Pertini, gli estremisti sanguinari del CLN, che volevano commemorare l’anniversario con una strage”. In occasione del venticinquennale dei Fasci di Combattimento ecco perciò l’attentato di via Rasella, episodio che si imprime nella mente del lettore grazie alla foto acclusa di un tredicenne pressoché decapitato, vittima civile della violenza partigiana.

Italiani. “Trattandosi di italiani, non ci si possono aspettare esiti veloci in materie come l’onore nazionale e la morale”.
Malevolo e sciatto. “Renzo De Felice in ‘Mussolini l’alleato’ scodella tale sconosciuta novità con dilettantismo insolente. E’ la prosa di un cronista malevolo e sciatto. Se fosse stato un vero storico…”. La novità non adeguatamente approfondita da De Felice riguardava un tentativo di colpo di stato militare (sempre in quel fatale, trafficatissimo luglio ’43).
Ometto. “L’ometto con le crocette all’occhiello e le madonnine sotto la camicia… Si scaccia con fatica il sospetto che l’elezione alla Costituente fosse diretta e tortuosa conseguenza della complicità nella vendetta che i comunisti avevano imposto”. Trattasi di Oscar Luigi Scalfaro, fotografato nel settembre 1945 dentro il poligono di tiro di Novara: partecipava come spettatore alla condanna a morte del prefetto, comminata dal tribunale speciale in cui prestava servizio come magistrato.
Oscena creatura. “Nata in una tinozza di sangue, ti ho contemplato trent’anni, oscena creatura”. Buscaroli si rivolge con questo complimento alla Repubblica italiana nata dalla resistenza.
Superbugiardo. “Gli assassini manovrarono l’arte della menzogna, di cui erano maestri, per far credere che i fascisti si uccidessero tra loro, così un superbugiardo del cinema ricucinò, dopo la guerra, la morte di Ghisellini”. Gli assassini sono ovviamente i comunisti, Igino Ghisellini era il federale di Ferrara e nel superbugiardo mi sembra di riconoscere Florestano Vancini, autore de “La lunga notte del ’43”, film bellissimo però, a quanto pare, non troppo affidabile storicamente.


Capita che Buscaroli parli bene di qualcuno? Sì, anche se può sembrare strano. Parla bene di Longanesi. Di Prezzolini. Dello storico Ruggero Zangrandi, comunista pentito e revisionista avanti lettera, morto suicida perché nel 1970 indagare sul 25 Luglio poteva costare amicizie e lavoro. Di Furtwängler. Di Mishima. Di Pound. Soprattutto di Salazar, “il miglior gentiluomo e galantuomo incontrato nell’intera mia esistenza professionale”. Consiglio vivamente il capitolo dedicato allo statista portoghese ai lettori non democratici, specie se adulti: a vent’anni, quando non si sa nulla, è concesso palpitare per Mussolini; a trenta, quando qualche libro bisogna averlo letto, è il momento di spostarsi su Franco; a quaranta, quando ormai tutto deve risultare chiaro, del Novecento si può salvare solo Salazar.
Tra le pieghe delle grandi visioni si fanno tante piccole scoperte. A pagina 477 vengo a sapere che Rumor era sposato. Chi l’avrebbe mai detto. Io conoscevo un’altra versione che è poi la stessa del solitamente bene informato Bruno Vespa: “Due soli presidenti del Consiglio italiani erano scapoli: Emilio Colombo e Mariano Rumor. Ma il loro interesse per le donne era modesto”.

Montanelli in “Dalla parte dei vinti” viene parecchio ridimensionato e sono frasi che suonano melodiose alle mie orecchie. Mi sono sempre domandato: se nell’albero genealogico del giornalismo vanesio il vecchio Indro risulta figlio di Malaparte, padre di Gervaso e nonno di Travaglio, come poteva costui essere una bella persona? Infatti non lo era, o almeno questo si evince dal racconto di Buscaroli. Montanelli era invidioso e meschino. Fugace a Budapest, taccagno a Imola. Un mitomane. Un censore. Con “ripicche indegne di un galantuomo”. Pare fosse talmente spregevole da poter essere accomunato a Dino Grandi: “Quei due erano uguali. Le bugie lungamente ripetute gli diventavano ricordi e i ricordi, accumulati e incrostati, storia patria”. Opportunista, doppiogiochista, per riciclarsi alla grande inventò di essere stato condannato a morte dai nazisti: “Si fabbricò quella leggenda che da poco si è sbriciolata, con un artigianato masochista assolutamente degno dell’artigianato iconologico con cui aveva fabbricato l’incontro con Hitler sulla frontiera polacca il 1° settembre del 1939, facendolo crescere, in ognuno degli articoli e interviste che poi vennero, fino quasi a conferenza al vertice”. E i libri doveva scriverli a quattro mani perché troppo ignorante per scriverli da solo. “Io da Indro non imparai mai nulla, se non che i moderati sono peggiori degli estremisti”.

A riprova che Buscaroli non si accanisce solo contro i defunti, ecco un piccolo florilegio di insulti a personaggi vivi e anche piuttosto vegeti.
Autorevole e seguìto. “Si chiama Claudio Magris, è uno che battezza se stesso (o tale lo battezza il suo editore, ch’è uguale), ‘l’intellettuale italiano più autorevole e seguìto’. Dicono che dica e faccia dire simili énormités perché spera nel Nobel”.
Comunistino. “Non è possibile che sua madre, mia cugina Gilda Cacciari, non avesse raccontato al comunistino che le cresceva accanto come i compagni di cui andava tanto fiero, da Toni Negri in giù, avessero fatto morire chi, senza quei banditi alla Chicago, gli sarebbe diventato zio”. Lo storico non si ferma nemmeno davanti ai parenti, in questo caso il sindaco di Venezia, nipote di un tenente dell’esercito repubblicano fucilato assieme agli altri ufficiali della divisione Monterosa dieci giorni dopo il 25 Aprile, a guerra conclusa, senza alcuna motivazione militare, dai soliti partigiani.
Quasi nobel. Ovviamente sempre Magris.
Stupido e malvagio. “Quando scrive di musica i pericoli crescono. In anni lontani dovei punirlo con una severa sculacciata per certo linguaggio che s’era permesso su Mozart. Il Torno non aveva alcuna idea di che cosa sia una tonalità, che cosa i rapporti tonali e, in definitiva, neppure l’elementare differenza tra terza maggiore e terza minore”. Buscaroli sta parlando di Armando Torno, giornalista del Corriere della Sera e scrittore anche di cose musicali. “Quel bombardamento d’indecenze e mascalzonate sulla figura di Furtwängler aveva il solo scopo di aiutare il Torno a smacchiare la figura sua propria di acceso cartellonista sulla ‘destra’ più grottesca, e diventare un nuovo serafino di Fiuggi. Solo una canaglia può fabbricare tale immagine. Chi può tenersi in casa uno stupido tanto malvagio?”.
Testa rotonda e poco acuta. “Povero Ezio Mauro, già direttore alla Repubblica, testa rotonda e poco acuta che rotolerà troncata per eccesso di ostinazione”.


Dai tredici anni fino ai quasi ottanta di oggi, Piero Buscaroli non ha mai perdonato una volta. A Imola nel 1950 incontrò per strada un comunista assassino, quello lo squadrò e l’ex balilla della Repubblica Sociale non si prese mica paura: “Guarda, guarda pure, tanto hai il cancro del partigiano e presto crepi”. Non fu esattamente una maledizione perché il nemico era già ammalato, in città lo si sapeva, ma certo sono cose che di solito non si dicono e che forse non si dovrebbero nemmeno pensare. Lui le pensa, le dice e le scrive: “Pochi mesi più tardi, la fida Ecate si prese il mio Vespignani e lo portò in qualche suo paradiso per partigiani”. Per spingere a tali vette l’arte di odiare gli è stato necessario sbarazzarsi del cattolicesimo misericordioso e usare come propellente la religione romana più nera: “M’ero messo nelle mani della Dea Ecate perché della famiglia Nazareth non mi fidavo poi tanto in certe bisogne”. Nel ’45, sempre a Imola, stava per essere linciato, riuscì a fuggire e rientrato a casa dopo un breve esilio romano ricevette la bella notizia, l’istigatore dei suoi mancati carnefici era morto: “Ormai all’ultimo stadio di un’infezione repellente che il popolaccio chiamava ‘scolo nero’, andò a spiaccicarsi contro un muro pilotando una motocicletta rubata. Ne conclusi che gli dèi esistono davvero”. Io non mi stanco mai di leggere, rileggere, sottolineare frasi di questo tenore. Se Buscaroli non ci fosse bisognerebbe inventarlo, il suo libro è un tonico nell’Italia 2010 dove l’espressione pubblica della religione sembra ridursi a moralismo, malinteso e cascame, con forme postprotestanti quali la sessuofobia demente che sta distruggendo la politica e le confessioni mediatiche capaci di espellere ogni residuo di razionalità dalla scena. Quando tutti si fingono pietosi, bisogna mostrarsi crudeli per avere carità della verità.

Fonte ilfoglio

Nessun commento:

Posta un commento