Descrizione

La storia ha due volti: quello ufficiale, mendace e quello segreto e imbarazzante, in cui però sono da ricercarsi le vere cause degli avvenimenti occorsi” - Honorè de Balzac -

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano !" - Isaac Newton -

Contra factum non valet argumentum”

giovedì 28 aprile 2016

L'allucinante logica di "Partito" si salva uno su un milione, eccolo ... di Harvey Colossal


"La verità è quella che conviene al partito"
- Vladimir Il'ič Ul'janov alias Lenin -
"Non esiste una morale assoluta, la morale è ciò che è utile al comunismo"
- Vladimir Il'ič Ul'janov alias Lenin -

Commento originalmente in appendice ad un articolo de Il Giornale che presentava il nuovo libro di Giampaolo Pansa, "La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti".

Questo racconto non mi stupisce proprio per niente, anzi, e spiega come siano possibili e perdurino certi atteggiamenti e dinamiche, ma raccontato in prima persona prende una luce diversa e si commenta da solo.
Quello che si evince è un aspetto socio culturale non da poco, mi ero sempre chiesto come facessero a essere dei "bugiardi patologici" così bravi, nessuno come loro, ce lo spiega l'autore, sono cresciuti, educati, programmati a "negare l'evidenza", a mentire quindi, vissuti in una brodaglia culturale disonesta e abbietta, pensando anche di essere nel giusto, proprio come i loro padri.

Incredibile, non ci potevo proprio arrivare, pur conoscendo i concetti di Lenin, io vengo dall'altra sponda, quella del "chi è bugiardo è ladro", le indimenticabili parole della mia nonna in primis ma anche del nonno. Proprio non ci può essere un punto di incontro e partono avvantaggiati di brutto, un esercito di disonesti mentitori cronici di professione disposti a tutto pur di prevalere, con dei presupposti del genere non puoi costruire nulla di buono né per te stesso men che meno per gli altri.
Una rieducazione ci vorrebbe, ma di quelle toste, una deprogrammazione e riprogrammazione tipo quella di Alex di Arancia Meccanica, avete presente la cura Ludovico ?

Alex, Cura Ludovico, Arancia Meccanica


12 ottobre 2013
Egregio dott. Pansa,
sono un musicista di Reggio Emilia, ho ventisette anni e faccio parte di quella generazione "molto alternativa" che ha visto la luce negli anni '80. Quando mi permetto di definire in tal modo i ragazzi della mia età, intendo dire che abbiamo imparato per necessità ad arrangiarci e a sopravvivere in un mondo che scarseggia di occasioni per il nostro futuro. Nonostante quello che molti slogan della sinistra rossa ha diffuso, raccogliendo proseliti anche nelle frange moderate per ragioni sociali ed altrettanto elettorali, siamo giovani privi di avvenire a causa di dinamiche forse più complesse del "sistema che non sistema".

Nella mia città, come Lei sa, c'è un humus culturale molto preciso che fatica di più a praticare un'autocritica seria rispetto al processo naturale di riciclo che un potere deve attuare per mantenersi e durare negli anni; la mentalità di moltissimi reggiani è inequivocabilmente legata ad una storia che affonda le sue radici alla fine degli anni '40. Molti dei miei coetanei non conoscono nulla nè della storia che hanno insegnato a me in famiglia nè di quella diversa che altre persone hanno vissuto sulla propria pelle; si appoggiano ad un senso di appartenenza dettato dal desiderio di impegnarsi proprio di chi è giovane. Non posso trovare qualcosa di sbagliato in questo, perchè anch'io mi riconosco in molti valori che la storia dell'Emilia porta con sè. La mia terra è parte di me, fiorisce d'estate e dorme d'inverno. Sono legato a lei in modo indissolubile. Proprio per questo non posso più trascurare le ombre che troppo spesso ho visto passare attraverso di lei; persino accanto a me, in famiglia.

Ho vissuto anni in cui le contraddizioni dell'ortodossia comunista, intesa come vero e proprio stile di vita, si sono riflesse sulle abitudini persino educative dei miei genitori, comunisti convintissimi di esserlo. Durante la mia adolescenza, ho sperimentato gli effetti di questa impostazione esistenziale su scala emiliana direttamente sulla mia pelle, partecipando ad incontri pomeridiani nelle scuole superiori che ho frequentato, gestiti da un'èlite studentesca formata da ragazzini di sinistra e, sicuramente in piccola parte, di destra. Malgrado l'enorme differenza che separava la maggioranza e la minoranza del nucleo carismatico, tutti sembravano convergere sul punto di ottenere l'incarico di Rappresentante d'Istituto, dal quale trarre l'eventuale possibilità di entrare nel mondo della politica giovanile (a prescindere dall'ideologia di appartenenza) con lo stesso zelo col quale si organizzavano iniziative apparentemente sane e motivate. E' facile immaginare cosa accadesse durante le autogestioni e le occupazioni: erano veri e propri bivacchi a cui anch'io ho partecipato, da incosciente.

Nessuno dei ragazzi che hanno presenziato ad essa nega di avervi preso parte senza un motivo culturale preciso; per chi le organizzava, bastava esprimere qualche cifra sul Ministero dell'Istruzione e del Governo passando per ogni classe durante le ore di lezione, sottintendere banalità da volantino e chiedere l'occupazione della struttura scolastica allo stesso modo con cui si difende un diritto. Io ero inizialmente felice di partecipare alle ore di autogestione; vedevo in quei momenti di vita d'Istituto la possibilità di parlare liberamente, cercare nuove interpretazioni della realtà per formarsi un'opinione propria. Avevo il bisogno di crearmi una mente pronta e critica per vivere in un mondo che, in futuro, sarebbe stato di altri ragazzi come me. Tuttavia, non ero certo quello che viene definito volgarmente "uno stinco di santo"; cercavo l'attenzione di coloro che reputavo i leader nella mia scuola e nella mia compagnia di coetanei in modi spesso grotteschi, pericolosi, volgari, stupidi, offensivi e privi di raziocinio.

Non è difficile pensare che tutti i miei "bei discorsi" da giovane studente finissero affogati nella scelleratezza euforica che talvolta sommerge il bisogno di essere guidati ed ascoltati. Non azzarderei nulla se affermassi che anche altri ragazzi, all'epoca, si fossero trovati a predicare bene e a razzolare male, come suol dirsi. Forse si chiederà per quale ragione le ho scritto queste cose e non mi stupirei se non gliene fregasse niente... Ma ho letto alcuni dei suoi libri e ho voluto iniziare questa lettera accennandole alcuni aspetti della mia adolescenza qui a Reggio per introdurle meglio ciò di cui mi piacerebbe parlare. Devo anticiparle che ho attraversato una profonda crisi esistenziale all'età di vent'anni, dettata da molteplici fattori, che mi ha portato a trovare rifugio nella musica (che avevo incontrato molti anni prima) e conforto nella Fede Cristiana. La mia solitudine era arrivata alle stelle e mi ha imposto di riflettere molto dolorosamente sulla mia identità passata e sulle prospettive del mio futuro.


Come le ho già accennato, i miei genitori sono comunisti. Duri e puri. Un vero comunista, dalle mie parti, non si riconosce dal numero delle manifestazioni ed iniziative a cui partecipa all'anno, ma dal "come" e dal "quando" tace o parla; sa benissimo quando esporsi, come negare l'evidenza ed esprimere opinioni pertinenti alla propria fede o a quello che viene reputato l'obiettivo politico-strategico del momento su larga scala. La fandonia dei "cani sciolti della sinistra" è un'abile montatura per far apparire in modo diverso ed includere sapientemente fazioni estreme che tutt'ora, nei centri sociali, continuano vergognosamente a perdurare.

Non mi stupisce che siano stati solamente gli esponenti della destra della mia città a chiedere lo sgombero di aree pubbliche occupate da persone che si sono rese protagoniste di numerosi episodi deplorevoli; posso dirglielo con certezza perchè conosco bene la generazione di cui faccio e ho fatto parte. Mi sono sempre permesso di reputare il centro-sinistra di Reggio Emilia sotto il costante occhio vigile delle frange estreme, di vecchi e giovani gendarmi che, seppur con stili diversi, non si limitano più a difendere una porzione (a tratti molto dubbia) di storia della Resistenza, ma a comportarsi da veri e propri cacciatori di argomenti nuovi di rilevanza sociale su cui porre il sigillo del proprio diritto d'autore, in modo da avere qualcosa da rivendicare. In casa mia, ricordo le discussioni di politica coi parenti, le lunghe serate di trasmissioni su Raitre, gli insulti ai politici di destra, di centro e di una parte ritenuta "democristiana" della sinistra; ricordo la devozione quasi mistica ed emotivamente coinvolta verso certi personaggi, che mi sembrava di conoscere da una vita intera nonostante li ascoltassi soltanto parlare in tivù. Erano
"i buoni che difendevano i poveri dal sopruso del capitalista".
Io ero stato educato, implicitamente, ad assumere una personalità conforme ad un vero e proprio credo esistenziale. Mio padre è l'esempio del silenzio; "come ti muovi, ti fulmino!". Mi creda: nemmeno ora, nel mio inconscio, mi sembra del tutto orribile pensare ad un motto così atroce. Prima di maturare queste idee, ho dovuto sviluppare da solo uno spirito critico che mi alienasse dal rapporto genitoriale e che mi permettesse di analizzare lucidamente il mio vissuto in funzione del mio futuro. Credo di aver conosciuto il dolore più profondo. Un giorno ebbi l'idea di parlare coi miei genitori di un suo libro: "La Grande Bugia". Ero incuriosito dal fatto che si parlasse anche della città di Reggio Emilia e di episodi di cui avevo sentito parlare dai miei nonni, anche loro comunisti. Mia nonna, residente sull'Appennino Tosco-Emiliano, mi raccontò di un ragazzo del suo paese di montagna iscritto al Fascio come tanti, suo coetaneo: erano conoscenti. Venne catturato dai partigiani e fucilato in inverno in un luogo che si poteva vedere da lontano, sui monti. Mi raccontò di una scia di sangue sulla neve e di un puntino nero in fondo allo strapiombo. Concluse il suo racconto in dialetto montanaro:
"...ne hanno fatte tante anche loro...".
Reggio Emilia
Mio nonno invece era nell'esercito, il suo servizio di leva cadeva proprio nel '39. Non si dimentica mai di ricordarmi la sfortuna che ha avuto, come può ben immaginare... Mi narrò eventi passati al vaglio di una sua censura personale che ben comprendo, ma che non poteva nascondere, a mio avviso, il vero significato insito in essi. Venne salvato dai tedeschi da un ufficiale della Repubblica Sociale di Salò che cercò poi di reclutarli nell'esercito di Mussolini, si vide un mitra puntato in faccia da un comandante tedesco e mi parlò di un partigiano che aveva l'abitudine di effettuare ronde in camion alla ricerca di fascisti da portare alle vecchie Scuole Verdi di via Cialdini a Reggio; di sicuro, a quanto traspariva dalle sue parole, non era un luogo di villeggiatura per camicie nere, tant'è vero che salvò dalla cattura di quel personaggio un fascista, durante una banale discussione davanti ad un bar. Ebbene, per quanto mio nonno fosse un convinto comunista, terminava i suoi discorsi con una frase recitata guardandomi dritto negli occhi:
"...ricordati sempre: la guerra fà schifo...",
con una consapevolezza molto più profonda di un qualsiasi comunista che aggiungerebbe
"la colpa è di Mussolini!".
In tanti hanno banalizzato gli orrori della guerra civile italiana lasciando sottintendere un allucinante:
"...hanno iniziato loro!!".
Reggio Emilia
Insomma, chi meglio dei miei genitori poteva conoscere quelle storie che i miei nonni avevano vissuto e che raccontavano a me in quei termini? Davo per scontato che potessi contare su un terreno condiviso su cui parlare di cose che interessavano anche a loro, magari affini alle tematiche socio-politiche che sembravano dominare i loro discorsi, che spesso percepivo come lontani dalla mia quotidianità di bambino prima e di ragazzo poi. Ma ho scoperto di essere un povero ingenuo. Per prima cosa, risposero con una veemenza inenarrabile:
"...sei solo un provocatore! Ti avranno fatto il lavaggio del cervello in Chiesa....". Oppure: "...adesso lo dico alla nonna! Se ti sentisse parlare così...".
In tutte le risposte agghiaccianti e incoerenti che mi sono sentito dire, ho notato l'attitudine a rispondere sempre nello stesso modo, chiamando in causa episodi che non c'entravano nulla con ciò che intendevo dire e negando cose dette proprio da loro. Quando ho cercato di argomentare le mie opinioni, ho trovato una cattiveria raramente riscontrata prima da mamma e papà, un riflesso dettato addirittura dalla loro sensazione di aver sbagliato tutto con me; parlando in quei termini, ho evocato un'incapacità comunicativa latente e propria di molte dinamiche famigliari anche estranee a questi argomenti.


Dopo aver elaborato questi eventi attraverso la solitudine, i sensi di colpa e tante altre vicissitudini che si possono immaginare, ho capito che le domande giuste da farsi erano poche ma essenziali: sono l'unico a vivere questa esperienza? Sono l'unico ad aver vissuto scontri di questo tipo nella mia generazione, tralasciando per un istante le ormai risapute conflittualità che potevano emergere negli anni '70? Che aspetti hanno i conflitti generazionali sull'impostazione di vita di sinistra e sulla mentalità in cui i ragazzi che oggi anni poco meno di trent'anni sono cresciuti? I miei genitori erano arrivati a negare anche le cose che avevo visto alle superiori per le occupazioni, come se nell'ammettere che quei ragazzini si comportavano comunque conformi all'irruenza (seppur non giustificabile) della loro età fosse un nefasto segnale di un padronato che ritorna a confezionare schiavi.
"Sono ca**i vostri se vi trovate con dei contratti di lavoro che non vi garantiscono nulla! E' grazie a dei fannulloni come te che la tua generazione di m***a si ritrova nei guai fino al collo!! E poi parli tu, che non fai niente dalla mattina alla sera...."
Premesso che lavoro da quasi dieci anni in un posto che mi hanno trovato proprio i miei genitori (i musicisti lavorano poco...) e tralasciando molte considerazioni che diventano quasi inevitabili, sono ancora dubbioso sul senso di quest'affermazione sulle difficoltà lavorative dei giovani in merito al fatto che ho letto un libro. Forse la libertà d'espressione tanto sbandierata da quelli che forse hanno fatto leva sulla storia personale dei miei genitori era in realtà un lusso che potevano permettersi soltanto quelli che non uscivano da determinati recinti... Mi sono permesso di scriverLe per ringraziarLa del suo lavoro, che passando attraverso la nostra storia italiana ha svegliato in me uno spirito critico difficile da gestire, ma finalmente libero e personale.

Ho scoperto di poter pensare con la mia testa e di lasciarmi alle spalle il ragazzo confuso, turbolento e privo di punti di riferimento che ero prima; di certo, negli aspetti culturali dell'esperienza umana di cui Le ho scritto i suoi libri hanno avuto un ruolo decisivo. Non mi resta che sperare in un futuro libero da certe ottusità e attivo nel condividere tutte le proprie esperienze, anche simili alle mie, senza il timore di essere giudicati e con la garanzia di essere ascoltati.

Cordiali saluti
Harvey Colossal


Come dicevo si commenta da solo, l'unica cosa che mi viene da aggiungere è che un racconto simile dalla parte "opposta" non verrà mai fuori e questo può spiegare tutto quello che lasciava interdetti, me per primo, se ancora manca qualcosa: L’ORDA CHIC E IL TOTALITARISMO
Fonte ilgiornale

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