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La storia ha due volti: quello ufficiale, mendace e quello segreto e imbarazzante, in cui però sono da ricercarsi le vere cause degli avvenimenti occorsi” - Honorè de Balzac -

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Contra factum non valet argumentum”

mercoledì 8 giugno 2016

Jung e la nuova coscienza di Fred J. Blum, Hemel Hempstead


Più approfondisco Jung e più ne rimango colpito di quanto fosse avanti e di quanto lo resterà. Ho trovato questo scritto cercando qualcosa riguardo al mio pensiero del momento: "il problema dell'uomo è l'uomo", nulla di più appropriato, la risposta nella seconda riga:
"il passaggio da una modalità di coscienza dominata dall'inconscio collettivo alla personalità individuale".
Pare aver capito che la gran parte è ancora relegata alla visione medioevale quindi non si riesce a fare il salto in avanti che tanto servirebbe, personalità individuale non vuol dire individualismo ma una personalità esclusivamente propria da mettere poi in unione con le altre.

Il pensiero mi porta subito ad un altro articolo La nascita delle religioni ebraiche al principio fu l’Egregoro, e l’Egregoro divenne Dio. La spiegazione delle Forme Pensiero ed Egregore, di come i pensieri possano aggregare e della descrizione data da una amica che semplicemente spiega il concetto:
"Quando noi facciamo parte di un gruppo che so ideologico, o sportivo oppure di un clan familiare siamo considerati "anima di gruppo" perché non abbiamo conquistato la nostra individualità e ci facciamo trascinare da una forma pensiero che ci governa come nei branchi di animali, se invece abbiamo conquistato l'individualità soltanto allora possiamo unirci con altre individualità decidendo di agire per un bene generale e in quel caso possiamo formare una evoluta coscienza di gruppo. Quando conquisti l'individualità non sei più soggetto alla schiavitù delle forme pensiero create da altri".
Questo ci porta immediatamente al principale problema del nostro tempo che aveva appunto individuato Jung, che presuppone anche una assunzione di responsabilità e relative azioni conseguenti.
Da non sottovalutare quanto si delinea nell'immagine sottostante,
relegare nell'inconscio, negare, le componenti irrazionali ed emotive ha un effetto devastante.
Il  problema siamo noi e non ipotetici centri di potere o cattivi di turno che pur esistono ma sono ininfluenti in una analisi profonda.

Arturo Navone
1. Tema centrale nel pensiero di Jung è il passaggio da una modalità di coscienza dominata dall'inconscio collettivo alla personalità individuale. Questo passaggio caratterizza sia l'evoluzione del genere umano dalla participation mystique propria dell'uomo arcaico fino alla consapevolezza consciamente differenziata dell'uomo moderno, sia la crescita e lo sviluppo dell'individuo verso quella personalità che rappresenta il frutto del processo d'individuazione. Questo tema esprime così la spinta fondamentale del processo evolutivo. Jung si rende perfettamente conto della natura critica delle trasformazioni in atto nel nostro tempo. Parlo intenzionalmente del "nostro” tempo, anche se Jung è nato più di cento anni fa, e quindi le sue intuizioni creative precedono gli sviluppi dell'epoca attuale di una o due generazioni. Stando così le cose, è più che notevole che Jung abbia effettivamente previsto, più di mezzo secolo fa, la crisi del nostro tempo e le potenzialità — così come i pericoli — che l'accompagnano. Ne rintracciamo un esempio nel suo saggio "Il problema psichico dell'uomo moderno" (1). In questo lavoro, scritto nel 1928 e ampliato nel 1931, Jung ha perfettamente riconosciuto che “L'anima dell'Occidente si trova in una posizione inquietante”, affermando allo stesso tempo che siamo “soltanto all'inizio di una nuova èra spiritualistica” (2). Scosso dalla prima Guerra Mondiale, da lui vissuta come sintomo della morte di una civiltà, Jung riuscì a vedere attraverso i veli che proteggevano il mondo Occidentale dall'“abisso” che gli si apriva dinanzi. “L'Occidentale vive nella nube vaporosa del suo autoincensamento, che deve impedirgli di vedere il suo vero volto” (3). Queste parole, scritte mezzo secolo fa, profetizzarono la situazione della nostra epoca, in cui la “nube vaporosa” sta perdendo il potere di nascondere la realtà effettiva in cui ci troviamo.
2. Jung fu il pioniere di una nuova consapevolezza di cui noi, che viviamo una svolta decisiva nella storia, possiamo scorgere con maggior chiarezza la struttura e le linee fondamentali. Al fine di rendere più fruibili le sue intuizioni, le esamineremo in un ampio contesto storico, indicando come Jung avesse già una visione precisa della natura e del significato della nuova coscienza che sta sorgendo ai nostri giorni.

Lo schema 1 mostra due linee curve che arrivano a un punto di intersezione e di rottura nella nostra epoca. Una di queste linee abbraccia tutta l'era patriarcale; l'altra, più corta, inizia all'incirca dall'anno 1000, con il mondo medioevale, e si spinge fino al 1500, introducendo quella che definiamo normalmente epoca moderna, che parte dal Rinascimento, dalla Riforma e dall'Illuminismo, e culmina nella rivoluzione industriale. Chiameremo tale periodo, che si sta avvicinando alla sua fine, era postmedioevale.



La tabella che segue indica le caratteristiche della curva più corta del processo evolutivo, che costituirà l'argomento principale del nostro studio. 



La modalità di coscienza medioevale era centrata sul simbolo, nel senso in cui Jung lo intendeva, cioè come espressione di una realtà di vita più profonda. Era un mondo diretto dall'interno e lo spirito aveva in esso un posto centrale. La coscienza dell'uomo era dominata dalla fede; intensa era l'esperienza della qualità e della sostanza delle cose. Il tempo era sentito più come eternità che come il movimento regolare di un orologio.

La nascita della modalità di coscienza postmedioevale relegò il mondo dell'età di mezzo al ruolo di una realtà secondaria o terziaria, e conferì un'importanza di primo piano a quegli aspetti del reale che il mondo medioevale aveva trascurato (4). La sostituzione del segno al simbolo è un'espressione drammatica del fenomeno, una trasformazione che mutò radicalmente l'intera visione del mondo dell'uomo occidentale. La coscienza fu identificata con una razionalità di cui il segno matematico, che definisce il mondo “reale” esplorato dall'uomo postmedioevale, è l'espressione più chiara. Questo era un mondo di fatti scientificamente osservabili — un mondo riducibile a calcoli quantitativi applicabili a corpi materiali che si muovono nello spazio esterno secondo un tempo misurabile. Questo mondo riduceva il senso di personalità alla psiche di un individuo isolato, e in esso la causalità sostituì la teleologia come modalità dominante per spiegare le relazioni tra gli oggetti. La nuova era in cui ci muoviamo risulta essenzialmente da una sintesi degli aspetti della realtà che furono primari nelle modalità di coscienza medioevale e postmedioevale. Tale sintesi equivale a una “riscoperta” di quanto venne trascurato nell'era postmedioevale, e a una attivazione della “funzione trascendente”, in grado di creare una nuova e più alta unità tra gli aspetti più autentici delle modalità di coscienza medioevale e postmedioevale.



3. L'opera di Jung tendeva al superamento di un tipo di razionalità orientata essenzialmente sull'oggetto esterno, che relegava nell'ombra il mondo inferiore, e costringeva l'uomo postmedioevale in una situazione di “primitiva incoscienza” (5). La trasformazione derivante dal fatto che “la coscienza moderna si è in parte ritirata dalle realtà materiali esteriori, per rivolgersi verso la realtà soggettiva inferiore” (6), costituisce il bisogno fondamentale dell'uomo che definiamo “moderno”, e Jung notava che “l'enorme accrescersi, nel mondo intero, dell'interesse per la psicologia” (7), avviatesi quasi mezzo secolo prima, diventa ai “nostri” giorni un fenomeno ovvio. Egli comprese con chiarezza che “gli dèi che dobbiamo detronizzare sono gli idoli, i valori del nostro mondo cosciente” (8). Jung non ha rifiutato le acquisizioni positive del mondo postmedioevale, come quella di un corretto approccio scientifico alla vita, ma ha compreso che il tipo di scienza che caratterizza la nuova era è totalmente differente dalla scienza dell'epoca postmedioevale. Egli si è riferito specificamente alla teoria della relatività di Einstein, come a un esempio della radicale trasformazione della nostra visione del mondo, che dal determinismo e dal materialismo tende a una nuova sintesi di spirito e materia, interno ed esterno, soggettivo e oggettivo, anima e corpo. Per Jung, l'anima è “l'aspetto inferiore della vita del corpo”, e il corpo è “la rivelazione esteriore della vita dell'anima” (9). Tema centrale nella vita di Jung fu proprio la ricerca di una nuova sintesi. Egli sapeva di dover ancorare tale sintesi allo sfondo universale dell'"unica” psiche del genere umano, e affermò esplicitamente: “In certo modo noi siamo parti di una grande anima unitaria... di un uomo unico, immenso” (10). Una tale concezione della psiche è in stridente contrasto con quella di John Locke, il filosofo dell'età postmedioevale che riduceva l'anima a una tabula rasa, come una pellicola fotografica impressionabile dal mondo esterno. Locke presumeva che l'ambiente modellasse la psiche dei singoli individui secondo l'immagine della cultura cui appartenevano, e non a caso egli credeva che il sogno facesse parte di una realtà incompatibile e del tutto separata dal mondo fattuale oggettivo dell'uomo postmedioevale (11). La sintesi che Jung si sforzò di realizzare abbracciava le realtà essenziali del mondo postmedioevale e di quello medioevale, e il suo atteggiamento era teso a cogliere gli aspetti fondamentali di entrambe le visioni del mondo. Egli accettava di esse alcuni elementi e rifiutava quelli incompatibili con la “conoscenza più alta e più vasta” (12) di cui c'è bisogno oggi. In particolare rifiutava le identificazioni collettive che sottendono la modalità medioevale di intendere la fede, l'assoluto, ecc.; ma allo stesso tempo, fu profondamente influenzato da alcuni aspetti del pensiero medioevale, come l'alchimia. Possiamo illustrare meglio la radicale trasformazione di coscienza implicita nella visione junghiana della realtà, riferendoci alla sua concezione della sincroni-cità. Uno degli esempi di sincronicità offerti da Jung nel suo saggio (13) è l'apparizione di uno scarabeo sulla finestra del suo studio nel momento preciso in cui una paziente gli parlava dello scarabeo d'oro comparso in un suo sogno come simbolo di trasformazione. Altri esempi si riferiscono alla precognizione di eventi che accadranno in un momento successivo, e alla conoscenza (per esempio, attraverso un sogno) di fatti che si verificano in altri luoghi. Gli esperimenti parapsicologici di Rhine (14) danno ulteriori illustrazioni dei fenomeni sincronistici. La caratteristica comune degli eventi sincronistici consiste nel fatto che essi “relativizzano” il tempo e lo spazio, nel senso che avvengono indipendentemente dalla nostra concezione di uno spazio tridimensionale e di un tempo unidimensionale (15). Essi relativizzano quindi l'idea che la realtà consista di oggetti che si muovono nello spazio — su cui si basa il principio di causalità — in altre parole viene rela-tivizzato il principio guida che regola la comprensione dei fenomeni nel mondo postmedioevale. La sincronicità indica infatti "un principio di nessi acausali”, e apre alla nostra comprensione una realtà che l'uomo postmedioevale non poteva afferrare, ma che era viva nella visione del mondo medioevale. Jung ha penetrato questa realtà con l'aiuto degli strumenti empirico-scientifici del mondo postmedioevale usando ancora una volta il metodo sintetico che caratterizza tutta la sua attività. Il principio sincronistico ci schiude una nuova immagine della realtà, intesa come un ordine globale dotato di un significato profondo, capace di rivelarsi nella coincidenza di eventi interni-soggettivi-perso-nali ed eventi esterni oggettivi-universali. In questo modo si realizza l'unificazione di una visione del mondo centrata sugli aspetti esterni e oggettivi della vita e di quella che invece si riferisce agli aspetti interiori e soggettivi.


4. La natura sintetica della nuova coscienza si esprime in diversi modi. Il fatto stesso che essa risulta dalla sintesi delle visioni del mondo medioevale e post-medioevale, indica la sua comprensività. Ma dato che la visione medioevale del mondo è, nella sua stessa struttura, affine a quella del mondo Orientale, la nuova coscienza equivale anche a una sintesi di molti aspetti delle dimensioni di coscienza orientale e occidentale. Non è neanche necessario ricordare l'importanza che Jung attribuiva alla comprensione dell'Oriente. Se guardiamo nuovamente la tabella 1, possiamo capire quali trasformazioni fondamentali siano necessario per l'unificazione delle caratteristiche principali della coscienza medioevale e di quella post-medioevale. Aspetti della realtà che sono stati finora percepiti come opposti, mentre non esprimono altro che le diverse visioni del mondo, vanno riunificati in una nuova totalità realizzabile solo quando nella nostra psiche si verificano due movimenti:
1) un movimento verso il profondo, dove rintracciamo la realtà archetipica universale;2) un'ulteriore differenziazione della coscienza.
II movimento nel profondo equivale a un avvicinamento a quella realtà che, sebbene universale, si manifesta con varie modalità nei diversi stadi del processo evolutivo e nelle differenti culture. Potremmo dire che ci muoviamo verso le fondamenta universali al fine di realizzare delle visioni del mondo storicamente e culturalmente diverse. Senza questa discesa nel profondo non è possibile ottenere una nuova sintesi, ma soltanto un miscuglio di vari aspetti di culture diverse. Jung ci ha ripetutamente messo in guardia dalla pura e semplice accettazione della visione del mondo orientale senza integrarla nella nostra tradizione occidentale. Un falso pluralismo, da una parte, e un'unità monolitica, dall'altra, costituiscono i pericoli reali in un periodo di fondamentale trasformazione della coscienza, che pone il compito di una nuova e più alta unità tra gli opposti medioevale-postmedioevale e Oriente-Occidente. L'unità della nuova coscienza è multidimensionale. Questa sua caratteristica indica la necessità di armonizzare le diverse dimensioni simbolo-segno, qualità- quantità, interno-esterno, riconoscendo il loro vero significato universale, e questo è possibile solo nel momento in cui si verifica la differenziazione tra ciò che è universale, e quindi eterno e senza tempo, e ciò che è collegato al tempo e alla cultura e, perciò, unico. La chiave per comprendere la struttura e la dinamica della nuova coscienza è data proprio da una simile differenziazione, resa possibile e attuale dalle intuizioni della psicologia del profondo. Fino ad ora la realtà universale e le sue espressioni particolari sono state spesso confuse tra loro. Storicamente o culturalmente, al fenomeno unico veniva attribuita una validità universale; cioè, si conferiva una sanzione assoluta e universale alle verità parziali delle diverse intuizioni scientifiche o religiose. Per quanto riguarda il mondo Occidentale, il legame tra cultura e tempo (sintesi di Roma, Atene e Gerusalemme) che costituisce un aspetto essenziale della Cristianità, era intrecciato con i suoi aspetti universali e atemporali in un modo che sanzionava il legame stesso tra tempo e cultura, dandogli un significato universale. Nella nuova coscienza possiamo operare una distinzione tra il nucleo e l'essenza universale di ogni manifestazione vitale e le espressioni storicamente, culturalmente e personalmente determinate della realtà archetipica universale. Questa differenziazione favorisce un nuovo processo dinamico di sviluppo: differenziare l'universale da ciò che è unico (storicamente, culturalmente e personalmente) schiude la via verso la fonte o centro della vita. La nuova totalità comporta quindi un nuovo centro in ciò che è essenzialmente e universalmente umano, il che equivale a essere centrati nel nucleo divino della nostra vita e della vita in genere. Parlando di un centro universale, intendiamo dire che la realtà universale e profonda della vita ha una sua struttura, un suo modello e un suo ordine. La sincronicità ci fa capire che questo ordine ha un significato che trascende gli eventi della vita quotidiana, che sembrano spesso esserne privi. Inoltre, la sin-cronicità rende evidente che il senso del nostro destino, della nostra vita personalmente unica, è intrecciato con una realtà ultima e transpersonale: esiste una connessione tra il soggettivo e l'oggettivo, tra l'interno e l'esterno, tra l'universale eterno e il personale unico. Grazie alla prospettiva della nuova coscienza possiamo comprendere questa intima connessione senza identificare l'universale con l'unico. Possiamo avere coscienza di noi stessi come mèmbri di un gruppo particolare, di una specifica cultura o civiltà; possiamo essere consapevoli della nostra unicità personale, e anche renderci conto delle peculiarità di altre epoche e delle altre civiltà. Una tale coscienza si radica nel suolo universale della vita, e conduce a una relazionalità nuova e più profonda. Tutto ciò è necessario affinché la nuova totalità sia una vivente realtà di esperienza. Per comprendere questa nuova totalità dobbiamo occuparci di un'ultima caratteristica della coscienza che sta emergendo. Nello schema 1 ho mostrato come nella nostra epoca vadano a confluire due movimenti distinti: la fine dell'era postmedioevale e quella di un'epoca più lunga, l'era patriarcale. Oggi stiamo riscoprendo il significato del femminile. Esso svolge un ruolo importante nella psicologia di Jung, e non è un caso che Neumann abbia visto nelle sculture di Henry Moore una riemergenza dell'archetipo femminile. Questo sviluppo rende possibile raggiungere una nuova unità tra maschile e femminile, in una sintesi più alta e profonda. La nuova totalità si basa sul riconoscimento dei principi universali maschile e femminile, e su una chiara differenziazione tra ciò che è maschile e femminile in senso universale e ciò che è considerato maschile e femminile nelle culture e nelle civiltà particolari. Tutta l'opera di Jung è permeata dal tentativo di dare un nuovo significato al femminile — dopo millenni di dominio patriarcale. La trasformazione resa necessaria dal riconoscimento del femminile e dalla sua unione paritetica con il maschile, insieme alla trasformazione essenziale per giungere all'unificazione del mondo medioevale con quello postmedioevale, ci danno la misura della difficoltà di quell'ulteriore trasformazione indispensabile perché le potenzialità di una nuova era dello sviluppo umano diventino realtà in una nuova coscienza.



5. Per concludere, devo sollevare un'ultima questione. Cosa significa per la psicologia junghiana la nascita della nuova coscienza? Il costante aumento di interesse per l'opera di Jung indica chiaramente che il nostro tempo attribuisce una grande importanza al suo messaggio. Il suo pensiero ha infatti aperto una nuova era dello sviluppo umano. Ma, come Jung ha maturato le sue idee nel corso di tutta la sua vita, così noi che lo seguiamo abbiamo l'obbligo di portare avanti le intuizioni che egli ci ha trasmesso. In questo scritto non posso che indicare brevemente la direzione di tale sviluppo. Esso richiede innanzi tutto un riesame dei concetti di archetipo e di inconscio, usati da Jung in varie accezioni, che ora occorre sistematizzare con maggior chiarezza. Credo che sia anche necessario operare una nuova distinzione tra la struttura universale ed eterna (e quindi archetipica, nel senso in cui Jung si riferiva alla struttura cristallina, e non nel senso di emozione indifferenziata) e le diverse manifestazioni, legate al tempo e allo spazio, della realtà universale. Anche se la visione del mondo fondata sulla comprensione causale di corpi materiali che si muovono nello spazio esterno è inadeguata, gli esseri umani non vìvono soltanto nella realtà di un significato, di un ordine che è al tempo stesso cosmico e unico. L'eterno-universale interagisce con la realtà spaziale (nazioni, culture, società diverse) e con quella temporale (diversi stadi di sviluppo umano). Si fa perciò imperativo il bisogno di distinguere, con maggior chiarezza di quanto abbia fatto Jung, tra un inconscio collettivo che possiamo definire umano, e l'inconscio collettivo sociale, determinato storicamente e culturalmente. Nel processo di tale differenziazione, le intuizioni junghiane possono servire da base per una comprensione più estensiva, e in questo senso più integrata, della psiche e della comunità umana. Dato che Jung è penetrato nel profondo di questa nuova coscienza, le sue idee possono fornire il quadro di riferimento in cui inserire anche intuizioni di scuole diverse che, a causa della limitatezza dei loro punti di vista, non offrono una struttura per l'integrazione. La nuova era si caratterizza come era dello Spirito Santo; per questo il principio integrativo finale, teso a un'ulteriore differenziazione e alla realizzazione di una psicologia junghiana più comprensivamente integrata, sarà rappresentato dalla realtà cosmico-universale di quello Spirito che conferisce alla vita unità e un significato ultimo, ma che si esprime in un numero infinito di modalità personalmente e culturalmente uniche. Tale Spirito trascende la manifestazione degli archetipi, in quanto emana da quella fonte universale ed eterna della nostra vita che Jung ha sperimentato personalmente (come si può vedere nella sua autobiografia) ma che, come medico che viveva in un mondo scientifico postmedioevale, non poteva porre quale pietra angolare dei suoi scritti. Egli ha accettato coscientemente le limitazioni di un empirismo incapace di rendere giustizia al tutto, e perciò al nucleo essenziale del suo essere, ma il significato della sua opera potrà realizzarsi completamente nella nuova coscienza.

Traduzione di Gianni Baldaccini

note
(1) C.G. Jung (1928), “II problema psichico dell'uomo moderno ”, in // problema dell'inconscio nella psicologia moderna, Torino, Einaudi, 1971.
(2) Ibidem, pp. 292 e 297.
(3) Ibidem, p. 293.
(4) J. Locke, Saggio sull'intelletto umano, lib. Il, cap. 8
(5) C. G. Jung, op. cit., p. 277.
(6) Ibidem, p. 285.
(7) Ibidem.
(8) Ibidem, p. 291.
(9) Ibidem, p. 300.
(10) Ibidem.
(11) J. Locke, op. c;f., lib. Il, p. 1.
(12) C.G. Jung, op. cit., p. 277.
(13) C.G. Jung (1952), “ La sincronicità come principio di nessi acausali ”, in La dinamica dell'inconscio, Opere voi. 8, Torino, Boringhieri, 1976, pp. 447- 550.
(14) Ibidem, pp. 461, 469, 503, 541 e ss.
(15) Ibidem, p. 485 (archetipo dell'ordine), p. 475 (coincidenza di significato). 

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