- Arturo Navone -
ne paghiamo ancora oggi, carissime, le conseguenze ...
Una breve introduzione Quelle vergognose «badogliate», un sinonimo di tradimento.
Perchè si parla del "Tradimento" italiano e perchè scrivo "strage di stato annunciata" ?
Semplicemente perchè nessuno ne vuole parlare, come leggerete anche nel seguito tratto da wikipedia, l'Italia non dichiarò mai guerra alla Germania e tanto meno al Giappone, perchè non poteva, "Resa Incondizionata", nazione occupata, impossibilitata a fare atti di politica internazionale, impossibile dichiarare guerra che finì quindi alleata dell'Asse, così si spiegano tutte le menzogne e i presunti "crimini" tedeschi che erano attaccati dai loro alleati ... et voilà, spiegato l'arcano, il tradimento, Cefalonia, i soldati italiani deportati, le rappresaglie e via discorrendo ...
Da parte alleata già il 21 agosto 1940 (solo due mesi dopo l'ingresso in guerra dell'Italia) il Foreign Office (Ministero degli Esteri inglese) nel suo documento analitico "Strategie future" individua nell'Italia l'anello debole dell'Asse, "il ventre molle" e proponeva di trattare una pace separata con noi.
La caduta di Tunisi, il 13 maggio 1943, cambiò radicalmente la situazione strategica. Ora l'Italia era esposta direttamente all'invasione Anglo-Americana, e per la Germania divenne imperativo controllare il Paese, diventato un bastione esterno del Reich. La caduta di Pantelleria e lo sbarco in Sicilia fecero precipitare la situazione. I tradimenti erano all'ordine del giorno da sempre
Il Sabotaggio della Guerra Fascista contro le Demoplutocrazie Occidentali
I punti salienti del tradimento sembrarono iniziare dopo la deposizione di Mussolini il 25 luglio 1943, il nuovo capo del governo dichiarò "la guerra continua", una dichiarazione sibillina ma nel contesto poteva stare a significare con la Germania.
In verità già dall'autunno del '42 tentativi di trattative con gli alleati erano stati condotti dal Duca Aimone d'Aosta, dalla Principessa Maria Josè, da Badoglio, da Caviglia e da Bastianini.
Il primo assassinato a tradimento della guerra civile italiana e il suo conseguente avvento.
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Ettore Muti Tenente Colonnello. dell'aeronautica |
Ettore Muti, "Gim dagli occhi verdi", forse il più grande eroe italiano, una medaglia d'oro al valor militare, dieci medaglie d'argento, 4 di bronzo, 5 croci di guerra, 2 croci di ferro tedesche, 2 medaglie al valore spagnole, 3 promozioni per merito di guerra, eroe di tre guerre italiane, fu il primo caduto della guerra civile in Italia. Erano circa le tre di notte del 24 agosto 1943. In quella notte, nella pineta di Fregene, ha inizio la guerra civile che strazierà l’Italia, di lì a poco, per due anni. E il fascista Muti, assassinato da altri italiani, ne è la prima vittima. Il delitto Muti fu invece chiaramente deliberato e voluto, inaugurando il sistema della eliminazione fisica degli avversari politici, in perfetto stile staliniano, con un colpo alla nuca, che fu caratteristico della guerra civile e causò all’Italia dolori e danni che durano ancora.
Il 25 luglio, giorno della caduta di Mussolini, Muti è in Spagna per conto del SIA, Servizio Informazioni Aeronautica, per cercare di recuperare un radar da un aereo statunitense precipitato, a Madrid, attraverso contatti con personalità conosciute durante la guerra civile, Muti venne a sapere che erano già iniziate le trattative con emissari angloamericani per l’armistizio e ne rimase sconvolto. Tornò a Roma indignato; confidò agli amici quanto aveva saputo e si scagliò contro Badoglio con parole di fuoco. Le sue escandescenze vennero riferite al Capo del Governo da informatori della Polizia e da agenti del SIM e Badoglio, che già era in preda allo sgomento, nel timore che Muti, per tentare la liberazione di Mussolini, prendesse contatto con i tedeschi e li avvertisse delle trattative in corso con gli alleati, terrorizzato di essere ammazzato dai tedeschi, lo fece assassinare, in circostanze a dir poco ambigue. Figura interessante la vedremo in un altro momento.
Quale era il clima politico di quelle giornate, durante le quali italiani e tedeschi, ancora alleati, cercavano di darsela a intendere a vicenda ? Gli italiani, assicurandoli che avrebbero continuato la guerra, nonostante la caduta del Fascismo e l’uscita di scena di Mussolini, e i tedeschi, fingendo di crederci.
A Roma, infatti, nella massima segretezza, le autorità militari elaboravano piani antitedeschi mentre ufficialmente, da parte degli alti comandi italiani, la collaborazione con la Germania continuava come se nulla fosse.
Badoglio tentò di guadagnar tempo nei confronti dell'alleato tedesco ed intraprese accordi segreti con gli Alleati.
Vengono inviati almeno dal 4 agosto segretamente ambasciatori in Spagna ed in Marocco a prendere contatti con gli Ambasciatori inglesi. Dalla Spagna fanno capire che l'Italia non è nelle condizioni di trattare ma solamente d'arrendersi per cui ogni trattativa viene rinviata ai militari.
Il 6 agosto 1943 a Tarvisio, in un clima di reciproca sfiducia e di sospetto, il ministro degli esteri italiano Guariglia e il capo di stato maggiore Ambrosio si incontrano con i capi della diplomazia e dell’esercito tedeschi, Ribbentrop e Keitel.
I ministri degli esteri dell’Italia e della Germania, Raffaele Guariglia e Joachim
Ribbentrop, e i capi dei due Comandi supremi, Vittorio Ambrosio e Wilhelm Keitel, si
incontrano a Tarvisio. Ufficialmente è un incontro per fare il punto sulla situazione
politica e militare dopo i cambiamenti avvenuti in Italia; ma l’atmosfera è di reciproca
sfiducia e di reciproco sospetto. Nessuno dei protagonisti crede a quello che dice il suo
omologo.
Il luogo dell’incontro è stato proposto dai tedeschi. Tarvisio, in provincia di Udine, è a
sette chilometri dal confine con l’Austria, ma si trova al di là dello spartiacque e le acque
del suo torrente finiscono nel Danubio e poi nel Mar Nero. In tedesco è chiamato Tarvis.
La delegazione tedesca è arrivata su un treno blindato, irto di mitragliatrici e con cannoni
antiaerei montati sul tetto delle carrozze. I tedeschi volevano dare una dimostrazione di
forza oppure temevano di essere sequestrati ? Sul marciapiede della stazione era
schierato un reparto delle SS.
Nella delegazione italiana era nato un problema: fare il saluto fascista per dimostrare
ai tedeschi che niente era cambiato in Italia? Ridicolo; ma i funzionari del seguito sono
stati invitati a farlo. Con la delegazione sono arrivati Hans Georg Mackensen,
ambasciatore tedesco a Roma, e Eugen Dollmann. Dollmann, 43 anni, indossa
l’uniforma di colonnello delle SS, ma sembra che non lo sia; molti ritengono che sia il
capo dei servizi segreti; sicuramente è il personaggio più misterioso e più potente dei
tedeschi in Italia,
Nella seduta mattutina si è parlato di politica. Joachim Ribbentrop ha subito
chiesto chiarimenti; ma il tono e il contegno, ricorderà Eugen Dollman,
“sono di una
freddezza talmente offensiva che da ogni frase e da ogni mossa emana la più cordiale
disistima per i suoi interlocutori”.
Raffaele Guariglia, che prima di partire ha fatto sapere
agli angloamericani, per mezzo dell’ambasciata a Lisbona, il significato dell’incontro,
risponde che il cambiamento avvenuto era puramente di ordine interno e ricorda che il capo del governo Badoglio aveva dichiarato che la guerra sarebbe continuata.
“E avete
avuto – chiede Ribbentrop - conversazioni con inglesi o americani?”,
“No” risponde
Guariglia.
Un tema ancor più delicato è toccato nella seduta del pomeriggio: la presenza militare
tedesca in Italia. Dice il generale Ambrosio:
“Il Comando supremo italiano è rimasto
sorpreso della rapidità con la quale sono state inviate divisioni tedesche in Italia senza
preventivo accordo”.
Risponde Wilhelm Keitel:
“Il Comando italiano non si sente più
padrone in casa sua? E’ sicuramente un equivoco”.
Al che Guariglia replica:
“Il modo in
cui le truppe tedesche entrano in Italia in questi giorni ha suscitato l’impressione che
esse venissero non a scopo militare, ma in servizio di ordine pubblico”.
E Ribbentrop: “Non disponiamo di truppe se non per combattere”.
La giornata era finita. I commiati sono stati freddi. Nessun italiano è andato alla
stazione a salutare gli ospiti che partivano. Questo è stato l’ultimo incontro fra italiani e
tedeschi. L’Asse, cioè l’intesa stipulata fra il Terzo Reich e il Regno d’Italia il 24 ottobre
del 1936, era in fin di vita dal 25 luglio; oggi è morto.
Badoglio incarica quindi il generale Castellano a recarsi in Spagna a trattare con il Comando Alleato, parte il 12 agosto.
Giuseppe Castellano ha cinquanta anni, è nato a Prato ma di origini siciliane; è il più giovane generale di stato maggiore ed è il “generale addetto” a Vittorio Ambrosio, capo di Stato maggior generale. È partito da Roma la sera del 12. L’iniziativa è di Ambrosio, all’insaputa, ufficialmente, del capo del governo Badoglio, del ministro degli esteri Guariglia, a anche del re. Nessuno dei tre lo sa o afferma di saperlo; così, caso mai, potranno sempre dire ai tedeschi che non erano a conoscenza della missione. In realtà – scriverà il generale Carboni – lo sanno anche gli uscieri di palazzo Vidoni, sede del Comando supremo, e anche “alcune donnine di Roma, frequentate dal generale Castellano”
Castellano giunto in Spagna si trova innanzi il delegato del gen. Eisenhower che gli consegna una bozza dell'Armistizio che gli Alleati avevano già preparato. All'Armistizio viene allegata anche una nota (riferita all'incontro tenuto in Canada tra Churchill e Roosvelt) con la quale gli Alleati dichiarano di poter rivalutare la posizione dell'Italia nel caso in cui si schierasse contro i tedeschi.
Castellano si accorge che su quella bozza non ci sono margini di trattativa e rientra in Italia.
“Di ritorno a Roma, non trovo Ambrosio. Se ne sta andando (bella fortuna!). Faccio quindi il mio rapporto a Rossi. Gli sottolineo che è urgente che io incontri Badoglio la mattina stessa. È importante che sia presente anche Guariglia. Alle 11 veniamo ricevuti dal capo de governo. Gli riassumo gli eventi del mio viaggio e gli leggo i termini dell’armistizio. Ho la netta sensazione che Badoglio sia un imbecille. Guariglia obietta che non possiamo chiedere l’armistizio. Se lo facessimo, i tedeschi ci farebbero a pezzi. A suo parere, è meglio che gli Alleati invadano l’Italia senza che le truppe italiane oppongano resistenza (facendo, di fatto,la figura dei vigliacchi). La resa italiana verrà solo quando gli Alleati si saranno saldamente installati nel nostro territorio. È evidente che Guariglia è terrorizzato. Niente potrà andare per il verso giusto con un imbecille a capo del governo e con un vigliacco a dirigere la diplomazia italiana”.
Nel frattempo il Governo italiano ed il Re continuano a tenere un atteggiamento ambiguo con i tedeschi continuando a garantire la fedeltà. Agli Alleati viene richiesto che in concomitanza con l'annuncio dell'Armistizio ci sia uno sbarco alleato nei pressi della Capitale.
Dal testo di Enzo Capaldo : a Madrid, dove I'incontrai dopo la sua fuga dall’Italia, il generale Roatta mi raccontò infatti che il capo di S.M. generale Ambrosio, prima di partire per una riunione con i tedeschi che si svolse a Bologna il 16 agosto del 1943, gli accennò alI'eventualità di un armistizio con gli angloamericani ma ciò nonostante, con la massima improntitudine, discusse lo schieramento delle forze italo-tedesche per la difesa della Penisola contro sbarchi alleati. Sempre a Bologna, in quella stessa circostanza, Roatta chiese e ottenne una divisione germanica in più per rinforzare la Sardegna e allorché, nel corso di una delle tante indagini sul suo comportamento per la mancata difesa della capitale, gli fu domandato il perché di una così strana richiesta, rispose che fecero altrettanto Ambrosio e Badoglio per evitare che i tedeschi scoprissero la verità sulle trattative che erano già in corso con il nemico.
A rendere, comunque, più ambigua la situazione, verso il 20 di agosto, accadde un altro fatto che ha dell’inverosimile ma che rispecchia quali fossero i veri propositi di Badoglio. Interpellato dal capo di S.M. generale, il Maresciallo rifiutò la proposta di
“orientare i comandi periferici nei Balcani su quanto sarebbe successo” e aggiunse di aver preventivato anche la perdita di mezzo milione d’uomini, piuttosto che “soggiacere alle ben più gravi conseguenze di un’immediata reazione germanica provocata da eventuali indiscrezioni …”
Il vecchio Maresciallo, viveva in preda al terrore e ogni mattina, infatti, allorché il generale Carboni, quale Commissario del SIM, si recava a rapporto, capitava che talvolta vi si recasse anche due volte nella stessa giornata, Badoglio tirava un lungo sospiro, scrollava la testa e ripeteva la solita litania:
“Anche stanotte, i tedeschi non mi hanno prelevato!”
Faceva una pausa e aggiungeva:
“Ecco in che pasticcio mi ha messo il Re!”.
In altre parole, pavido e incapace di dominare la situazione che giorno dopo giorno gli sfuggiva di mano, era più preoccupato della propria sorte che di quella del Paese che s’avviava allo sfascio.
Del resto, come si comportò durante l'ultimo, drammatico Consiglio della Corona che si tenne al Quirinale, prima della precipitosa partenza per Pescara e nel castello di Crecchio, in attesa dell’imbarco sulla corvetta “Baionetta”?
In proposito, esistono due testimonianze ineccepibili, una è del generale Luigi Marchesi, a quell’epoca giovane maggiore addetto al capo di S.M. generale Vittorio Ambrosio e l’altra è del generale Paolo Puntoni che, in veste di primo aiutante di campo generale, era, diciamo così, l’ombra di Vittorio Emanuele III.
Da entrambe le dichiarazioni si ricava un quadro desolante, sia morale che intellettuale, fornito da individui che pur investiti di altissima autorità si dimostrarono incapaci di fronteggiare gli eventi, dotati di discutibile amor patrio e pronti a qualsiasi compromesso pur di salvare i propri averi e la propria pelle.
Sebbene di grado piuttosto modesto rispetto a quello di vari partecipanti al consiglio, (c’erano infatti, attorno a un tavolo ovale, il Re, Badoglio, Carboni, Ambrosio, I’ammiraglio De Courten, Guariglia e alcuni altri ministri), Marchesi che conosceva a menadito i retroscena delle trattative per l’armistizio, prese la parola e manifestò il proprio disappunto allorché Badoglio e Carboni, per timore delle reazioni germaniche, si opposero al lancio di paracadutisti USA su Roma e al contemporaneo atterraggio, sui campi attorno all’Urbe, della 82a divisione avio trasportata americana.
Il perché del rifiuto, Marchesi lo spiega con una battuta tagliente:
“Paura, una forsennata paura fisica dei tedeschi. Badoglio, era in preda al panico. . .”.
A Crecchio, secondo il racconto di Puntoni, successe lo stesso.
“Mentre il Re è assolutamente tranquillo – annotò nel suo diario il generale – Badoglio appare distrutto… È pallido, preoccupato e ossessionato dal terrore, che del resto manifesta palesemente, di cadere nelle mani dei tedeschi. La frase che ripete sovente è “Se ci prendono, ci tagliano la testa a tutti…”
29 agosto. Le direttive del governo Badoglio non tanto per assicurare l’ordine pubblico, quanto per contrastare ogni manifestazione che possa far capo al Partito Comunista (clandestino) e per evitare disordini che possano essere interpretati dalle autorità tedesche come segno di dissociazione dell’Italia dall’alleanza con la Germania sono confermate dal telegramma inviato oggi dal ministro della guerra, Antonio Sorice, al Comando supremo e alla presidenza del Consiglio dei ministri. Il ministro parla addirittura di usare le artiglierie :
“Ore 10 di oggi masse operaie sono entrate ovunque negli stabilimenti in perfetta apparente calma. È evidente trattarsi di ordini provenienti da un unico centro direttivo. Ordinato a Corpi armata e difesa di utilizzare sosta per mettere a punto organizzazione repressione inflessibile. A Torino presso due reparti Fiat iniziato sciopero bianco. Arrestati istigatori e deferiti tribunale militare per immediato procedimento. È in corso intervento con artiglierie contro fabbricati reparti predetti se operai non obbediscono intimazioni ripresa lavoro”.
In giornata il comandante della difesa territoriale di Torino, Enrico Adami Rossi, invia questo telegramma ai dipendenti comandi militari della regione, alla questura e al prefetto di Torino :
“L’abbandono del lavoro o l’astensione dallo stesso incrociando le braccia, oltre ad essere una contravvenzione alla mia ordinanza del 26 corrente, è una forma di ostruzionismo e di boicottaggio al lavoro per la produzione di guerra ed un vero e proprio tradimento della nazione in guerra. Di conseguenza non appena tale astensione si manifesti, occorre sia stroncata. Si intimi la ripresa immediata del lavoro dando cinque minuti di tempo, avvertendo che se il lavoro non sarà ripreso, sarà imposto con la forza. Se allo scoccare del quinto minuto continuerà l’astensione, si faccia fuoco con qualche breve raffica, non sparando in aria o per terra, ma addosso ai riottosi. Dopo la raffica ripetere per una volta l’intimazione e, non ottenendo lo scopo, sparare raffiche a piccola distanza l’una dall’altra sino ad ottenere lo scopo, ossia l’esecuzione dell’ordine”.
Il generale Adami Rossi tributerà questo encomio solenne (è raccontato nella “Storia del movimento operaio torinese durante la Resistenza” di Giorgio Vaccarino) al caporale Franco Malagoli :
“Con rapido intuito e piena comprensione del suo dovere, in relazione alle direttive ricevute, lanciava una bomba a mano contro un gruppo di operai che, riottoso, faceva opera di sobillazione alla ripresa del lavoro, come era stato intimato, ferendone alcuni e ottenendo la completa ripresa del lavoro”.
Dal 26 luglio all’8 settembre, tra scioperanti, dimostranti e disubbidienti vi saranno novantatré morti e 356 feriti, 3500 condanne a varie pene detentive, trentamila persone in stato di fermo; più, in 45 giorni, di quanto abbia fatto Mussolini in vent’anni. Lo scrive uno storico di quel periodo, Silvio Bertoldi, nell'articolo "BADOGLIO Quarantacinque giorni da tiranno" sul “Corriere della sera” del 4 ottobre 1995. Lo si può leggere sul sito del “Corriere della sera”, il commento di Indro Montanelli sull'articolo :
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la firma dell'Armistizio corto (in borghese il gen. Castellano, il gen. americano Bedell Smith sta firmando) |
L'Armistizio "corto" viene firmato nel tardo pomeriggio del 3 settembre a Cassibile vicino a Siracusa, nei pressi della chiesa parrocchiale.
Gli Alleati vogliono che l'Armistizio venga annunciato il giorno 8 settembre, il Governo italiano s'illude che questo possa essere spostato al 12.
Nello stesso giorno, mentre Castellano firmava, Badoglio in un incontro al mattino alle ore 9,30 con l’Ambasciatore tedesco a Roma, che forse ha sentore di cosa sta accadendo, chiede con apprensioni quale sia l’atteggiamento dell’Italia, che Hitler è diffidente, e vuole sapere cosa bolla in pentola. Badoglio lo tranquillizza :
"Sono il più vecchio generale d’Italia, mi chiamo Badoglio, mi riesce incomprensibile la diffidenza di Hitler; vi dò la mia parola d’onore che marceremo con voi fino in fondo, abbiate fiducia".
Anche il Re Vittorio Emanuele III, presente al colloquio, ribadisce la fedeltà e la lealtà nei confronti dell’alleato
"Dica al Furher che l’Italia non capitolerà mai, è legata alla Germania per la vita e per la morte"
Arriva il fatidico 8 settembre e gli Alleati non sentono alla radio italiano il proclama, alle 17.30 Radio Algeri nè dà notizia e alle 18 dichiara alla stessa radio :
"The Italian Government has surrendered its Armed Forces unconditionally" - "Il Governo italiano ha dato ordine alle sue forze armate di arrendersi senza condizioni".
Non contento del disonore totale non trovò di meglio tra ottobre e dicembre del 1943 per soddisfare i desideri inglesi di smantellare la rete dei servizi informativi italiani, se li vendette, di ordinare quanto segue, un'azione inqualificabile, senza precedenti di stampo "coloniale" da parte inglese, meritevole di corte marziale, rimasta occultata, ora depositata in documenti all’Archivio di Stato di Como.
Il generale Vittorio Emanuele Terragni nel 1948 così ricostruisce lo svolgersi di quegli avvenimenti:
«Il 23 settembre 1943 mi fu consegnato a mano dall’addetto militare britannico, venuto nel mio ufficio a trovarmi per la prima volta, un messaggio [in lingua inglese] a me diretto dal generale Ambrosio, capo di stato maggiore generale, nel quale mi si ordinava di lavorare per il futuro in stretta collaborazione con i due Centri locali del Sim [Servizio informazioni militare] e con la rappresentanza diplomatica britannica mediante scambio di informazioni».
Pareva cosa normale essendosi appena concluso l’armistizio con gli angloamericani.
«Sennonché, alcuni giorni dopo, e cioè il 4 e 5 ottobre, i due capi Centro [responsabili delle attività di spionaggio e controspionaggio dell’esercito] furono direttamente e separatamente convocati da un funzionario dell’Intelligence Service, un certo De Salis, addetto all’ambasciata britannica di Lisbona, e ufficialmente richiesti di comunicare tutti i nomi a rispettiva conoscenza, degli elementi che in qualunque modo fossero stati identificati come al servizio dell’Intelligence Service; di segnalare nominativamente tutti gli informatori, retribuiti o meno, italiani o stranieri, che avevano lavorato per i nostri servizi di informazione e di comunicare tutte le notizie che i capi Centro stessi possedessero in ordine all’attività e all’organizzazione dei servizi di informazione della Germania».
Questa richiesta di delazione, che il generale italiano definisce «indegna e inaccettabile», fu rifiutata dei responsabili della nostra rete di intelligence presente in Portogallo, non disponibili a quel tipo di resa che inoltre avrebbe leso gli agenti 'coperti' portoghesi nei confronti delle loro autorità nazionali. Un'azione simile era contro l’onore militare, e ledeva il senso di lealtà e di fedeltà alla nazione che accompagna il giuramento di un servitore dello Stato come è un soldato. Alla fine di ottobre, a far crollare uno dei responsabili del nostro apparato di intelligence militare in Portogallo, fu un telegramma di Badoglio, dove ordinava di consegnare al funzionario britannico dell’Ufficio controllo passaporti di Lisbona
«i dettagli relativi alla nostra organizzazione informativa, compresi i nomi dei nostri agenti e tutti i metodi di funzionamento sia italiani sia tedeschi a nostra conoscenza».
In un successivo ordine scritto, di dicembre 1943, Badoglio ordinava addirittura al capo del presidio offensivo del SIM a Lisbona, il tenente colonnello Gino Clarej, la ricostruzione dei contenuti dei carteggi d’ufficio, di natura operativa e informativa, che erano stati bruciati il giorno stesso dell’armistizio.
Tutto questo accadeva in un paese sensibile e neutrale come il Portogallo dove erano passati i contatti segreti tra Germania e Inghilterra che prepararono il misterioso volo in Scozia del vice di Hitler, Rudolf Hess, i negoziati segreti per l’armistizio dell’8 settembre 1943, e anche il passaggio di apparecchiature ed esplosivi che crearono in Italia la resistenza, da parte del SOE (Special operations executive), la branca delle operazioni speciali dell’Intelligence Service, nazione dove ripararono anche il Re d'Italia in esilio e Dino Grandi.
Questa azione, come normale fu in seguito criticata da alcuni ufficiali angloamericani e dagli stessi addetti militari sia britannico che statunitense a Lisbona, che erano soldati e persone d’onore.
Il tutto causò, per protesta la richiesta del deluso generale monarchico alla messa a riposo, rischiando la corte marziale, i tedeschi informarono Mussolini che lo reintegrò come agente della Repubblica sociale italiana in Portogallo.
Si scopre inoltre che fin dai primi mesi del 1942, il traditore Badoglio tramite suoi agenti aveva contattato gli inglesi per trattare una resa e aveva anche proposto di formare un esercito parallelo che combattesse al fianco degli alleati.
casablanca
la guerra del re
Tutto fece la massoneria
Dino Grandi era uno dei gerarchi del Regime fascista, stretto collaboratore di Mussolini da più di 20 anni. Considerato più un conservatore di destra che un fascista (vedete che c'è differenza, una enorme, incolmabile differenza NdR), vedeva il fascismo come un fenomeno effimero, confinato nella durata della vita di Mussolini. Esperto diplomatico, era stato ministro degli Esteri e ambasciatore nel Regno Unito: fermo nemico della Germania, con una larga cerchia di amicizie nell'establishment britannico (era amico personale di Winston Churchill), era stato spesso considerato il successore naturale di Mussolini. Sebbene personalmente devoto al Duce, del cui carattere e dei difetti era ben conscio, era tuttavia convinto che ad alcuni suoi ordini si dovesse disobbedirgli. Il 25 marzo 1943 il Re aveva conferito a Grandi il collare dell'Annunziata, permettendogli così di essere chiamato "cugino del Re" e conferendogli facoltà di libero accesso alla Casa Reale.
A metà maggio il Re iniziò a considerare il problema di come uscire dalla guerra: era il pensiero espressogli dal Duca Pietro d'Acquarone, Ministro della Real Casa, molto preoccupato per il futuro stesso. L'opinione pubblica italiana, che aveva atteso per mesi un segno da parte del Re, iniziava a volgersi contro la monarchia. Alla fine di maggio due alte personalità dell'epoca liberale, Ivanoe Bonomi e Marcello Soleri, furono ricevuti da d'Acquarone e dall'aiutante di campo del Re, il generale Puntoni. Entrambi premettero sui consiglieri reali consigliando di far arrestare Mussolini e di nominare un Governo militare. Il 2 e l'8 giugno furono entrambi ricevuti dal Re, ma rimasero frustrati per la sua inazione. Il 30 giugno Bonomi incontrò il principe Umberto e propose i nomi di 3 generali - Ambrosio, il maresciallo Pietro Badoglio, il maresciallo Enrico Caviglia - come candidati a succedere a Mussolini. Il 4 luglio Badoglio fu ricevuto da Umberto, che gli fece capire che la Corona non si opponeva più a un cambio di regime. Il giorno seguente, Ambrosio propose al Re di nominare Badoglio o Caviglia alla testa del Governo che avrebbe sostituito Mussolini. A favore della candidatura di Caviglia svettavano il suo coraggio, la sua onestà e le posizioni antifasciste, ma era considerato troppo vecchio per affrontare i perigliosi eventi e, inoltre, un esponente di alto livello della Massoneria. Badoglio, che aveva rassegnato le proprie dimissioni da Capo di Stato Maggiore dopo la disfatta greca nel 1941, era divenuto un acerrimo nemico di Mussolini e stava aspettando solo l'occasione propizia per vendicarsi. Oltre a ciò, egli era amico del Duca d'Acquarone, che era stato il suo aiutante di campo, ed entrambi, come Caviglia, massoni. Una collaborazione tra i due Marescialli era tuttavia impensabile, dato che Caviglia odiava Badoglio, definendolo una volta un
«cane da cortile che va dove c'è il boccone più grande».
Il 4 giugno il Re concesse un'udienza a Dino Grandi, che era ancora il presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, pur essendo stato rimosso dal Governo.
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Una settimana prima della riunione del Gran Consiglio, e due giorni prima dell'incontro detto di Feltre (ma tenutosi in realtà a San Fermo, frazione di Belluno) fra Mussolini e Hitler, Heinrich Himmler riceveva un'informativa che anticipava le manovre in corso per deporre il Duce e sostituirlo con Pietro Badoglio. Il documento fa ripetuto riferimento al re Vittorio Emanuele III ed alla massoneria. Il documento ha il timbro "Geheim!" (segreto)
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Il 15 luglio il Re incontrò Badoglio, che nel frattempo andava dicendo agli amici che avrebbe organizzato un putsch con o senza il sovrano - e lo informò che lo avrebbe nominato nuovo capo del Governo. Vittorio Emanuele gli spiegò che era totalmente contrario a un governo politico, e che in questa fase non avrebbe cercato un armistizio.
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Scritta antibadogliana riapparsa a Verbania-Pallanza (piazza del Municipio) allo sbiadire di una mano di calce data per cancellarla. Testo: "Abbasso Badoglio, abbasso i traditori del PNF". |
Proclama Badoglio dell'8 settembre 1943
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Pietro Badoglio, capo del governo italiano dal 25 luglio 1943 al 17 aprile 1944. |
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Il proclama di armistizio di Badoglio dell'8 settembre 1943 è l'annuncio dell'entrata in vigore dell'armistizio di Cassibile firmato dal governo Badoglio I del Regno d'Italia con gli Alleati della seconda guerra mondiale.
Il messaggio, letto dal maresciallo Pietro Badoglio (Capo del governo e maresciallo d'Italia) alle 19:42 al microfono dell'EIAR, annunciò alla popolazione italiana l'entrata in vigore dell'armistizio di Cassibile, firmato con gli anglo-americani il giorno 3 dello stesso mese.
I giorni dal 3 all'8 settembre
Dopo la sigla dell'armistizio di Cassibile, Badoglio riunì il governo solo per annunciare che le trattative per la resa erano "iniziate". [1] Gli Alleati, da parte loro, fecero pressioni sullo stesso Badoglio affinché rendesse pubblico il passaggio di campo dell'Italia, ma il maresciallo tergiversò. La risposta degli anglo-americani fu drammatica: gli aerei alleati scaricarono bombe sulle città della penisola. Nei giorni dal 5 al 7 settembre i bombardamenti furono intensi: oltre 130 aerei B-17 ("Fortezze volanti") attaccarono Civitavecchia e Viterbo. Il 6 fu la volta di Napoli. [2] Perdurando l'incertezza da parte italiana, gli Alleati decisero di annunciare autonomamente l'avvenuto armistizio: l'8 settembre, alle 17:30 (le 18:30 in Italia), il generale Dwight Eisenhower lesse il proclama ai microfoni di Radio Algeri [3]. Poco più di un'ora dopo, Badoglio fece il suo annuncio da Roma.
Il proclama letto alla radio
«Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.
La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.[4]»
La fuga di Vittorio Emanuele III e la nascita del Regno del Sud
La fuga dalla Capitale dei vertici militari, del Capo del Governo Pietro Badoglio, del Re Vittorio Emanuele III e di suo figlio Umberto dapprima verso Pescara, poi verso Brindisi, e la confusione, provocata soprattutto dall'utilizzo di una forma che non faceva comprendere il reale senso delle clausole armistiziali e che fu dai più invece erroneamente interpretata come indicazione della fine della guerra, generarono ulteriore confusione presso tutte le forze armate italiane in tutti i vari fronti sui quali ancora combattevano: lasciate senza precisi ordini, si sbandarono. [5] 815.000 soldati italiani vennero catturati dall'esercito germanico, e destinati a diversi Lager con la qualifica di I.M.I. (internati militari italiani) nelle settimane immediatamente successive.
Più della metà dei soldati in servizio nella penisola abbandonarono le armi e tornarono alle loro case in abiti civili. La ritorsione da parte degli ormai ex-alleati tedeschi, i cui alti comandi, come quelli italiani, [6] avevano appreso la notizia dalle intercettazioni del messaggio radio di Eisenhower, non si fece attendere: fu immediatamente messa in atto l'Operazione Achse ("asse"), ovvero l'occupazione militare di tutta la penisola italiana e il 9 settembre fu affondata la Corazzata Roma, alla quale nella notte precedente era stato ordinato, assieme a tutta la flotta della Regia Marina, di far rotta verso Malta in ottemperanza alle clausole armistiziali anziché, come precedentemente stabilito, attaccare gli alleati impegnati nello sbarco di Salerno.
Nelle stesse ore una piccola parte delle forze armate rimase fedele al Re Vittorio Emanuele III come la Divisione Acqui sull'isola di Cefalonia dove fu annientata; una parte si diede alla macchia dando vita alle prime formazioni partigiane come la Brigata Maiella; altri reparti ancora, soprattutto al nord, come la Xª Flottiglia MAS e la MVSN, scelsero di rimanere fedeli al vecchio alleato e al fascismo. Nonostante il proclama di Badoglio, gli alleati impedirono una massiccia e immediata scarcerazione dei prigionieri di guerra italiani.
Ai militari sbandatisi dopo l'8 settembre che si ripresentarono a fine guerra ai rispettivi comandi, per sistemare la propria carriera interrotta e anche recuperare gli arretrati di paga, venne richiesto di compilare un questionario di ben 97 domande, atto a definirne la posizione disciplinare e amministrativa. [7]
Il dibattito sull'8 settembre come "morte della patria"
Il giurista e scrittore Salvatore Satta nel suo libro di riflessioni De profundis del 1948 definì l'8 settembre la "morte della patria", con riferimento all'implosione dell'intero apparato statale costruito dopo il Risorgimento, aggiungendo che
"la morte della patria è certamente l'avvenimento più grandioso che possa occorrere nella vita dell'individuo"[8].
L'espressione fu riscoperta da Ernesto Galli della Loggia in un convegno del 1993 [9] e ripresa da Renzo De Felice nel libro-intervista Il Rosso e il Nero del 1995 [10]. Entrambi questi storici hanno sostenuto che il Risorgimento avesse creato un sentimento nazionale italiano che, crollato l'8 settembre, non è più rinato.
Galli della Loggia ha addirittura intitolato un suo libro del 1996 La morte della patria [10], facendo di questa tesi l'argomento dell'intero libro. Ed ha in particolare approfondito come la Resistenza non abbia potuto creare un nuovo sentimento nazionale perché era divisa fra più "anime", alcune delle quali di sentimenti più internazionalisti, se non addirittura contrari agli interessi nazionali (con riferimento al fatto che il PCI sostenesse le rivendicazioni jugoslave in Venezia Giulia)[8].
Questo libro scatenò inevitabilmente una discussione, in cui storici e politici vicini alla Resistenza criticarono la tesi della "morte della patria". Fra gli storici si possono citare Claudio Pavone (Una guerra civile, 1991 [11]) e Nicola Tranfaglia [12]. Sulla questione prese la parola anche il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, nel 2001 al ritorno da Cefalonia dove aveva commemorato i caduti della divisione Acqui. Tutti costoro hanno sostenuto che la Resistenza e la Costituzione hanno efficacemente fatto rinascere un sentimento nazionale italiano.
Note
- Gigi Di Fiore, Controstoria della Liberazione, Milano, Rizzoli, 2012., pag. 105.
- Gigi Di Fiore, op. cit., pag. 139.
- BBC ON THIS DAY | 8 | 1943: Italy's surrender announced
- Badoglio annuncia l'armistizio dell'Italia, in La Repubblica, 7 settembre 2013. URL consultato l'8 settembre 2013.
- P. Pieri, dal Dizionario biografico degli Italiani, Ist. Treccani (PDF), su museobadoglio.altervista.org. URL consultato il 03-09-2010.
- L’eroica fine della corazzata Roma, su paginedidifesa.it.
- Floriani - 8 settembre 1943 - (Ita), su www.floriani.it. URL consultato il 15 settembre 2015.
- a b Giovanni Pistolato, La morte della patria. Ernesto Galli della Loggia
- Ernesto Galli della Loggia, La morte delle patrie: così entrò in crisi lo stato-nazione sul Corriere della sera dell'8 settembre 2003
- a b Giuseppe Rinaldi, L'8 settembre e la "morte della patria"
- Nicola Guerra, Morte e nascita della nazione
- sito Eticapa
- Stefano Caviglia, Ciampi e la Patria, è polemica su La Repubblica del 5 marzo 2001
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